Altri tempi

Il mio amico Franco Lemaitre non si ricorda quasi niente del periodo, ormai lontanissimo, delle scuole medie. Eravamo compagni di banco, oggi amici di una vita, si potrebbe dire. Per questo ascolta, con un sorriso infantile, beatamente attonito, il racconto di piccole storie di cui fa parte ma che qualche strano meccanismo della sua mente ha cancellato.
La nostra era una scuola un po’ particolare. Attraeva a sé non solo i bambini del quartiere impiegatizio di piazza Bologna (siamo in una città scomparsa, la Roma incantata dei primi anni sessanta), ma anche una nutrita schiera di figli dei quartieri appena nati al di là della ferrovia, grosso modo identificati col nome di Pietralata.
In questo senso dunque la scuola funzionava da autentico laboratorio sociale: ragazzini tutti perbenino accanto ai monelli di periferia. Noi, quelli perbenino, imparavamo dai piccoli teddy boys le cattive maniere che mancavano alla nostra formazione, in quanto messe al bando in famiglia. Loro, forse, quel tanto di educazione civica che si divertivano a sfottere con aria di selvaggia superiorità.
Fatto sta che io me li ricordo tutti, uno per uno, forse aiutato da una foto che ci ritrae in gita scolastica non a Firenze o a Napoli come capiterebbe oggi, ma allo zoo cittadino. Un cartello sfocato indica la direzione verso gli animali di montagna, ma la vera attrazione siamo noi: piccoli italiani in gita che si fanno le corna a vicenda, chi in completo chiaro con cravatta, chi in pantaloni corti, futuri ingegneri e modesti commessi di negozio. Alcuni, audaci, con un precoce tentativo di chioma alla Beatles, altri rasati con la macchinetta del barbiere, composti occhialuti già inquadrati nel paterno studio professionale accanto a prevedibili viaggiatori alla giornata, destinati a schivare guai e difficoltà.
Un’ immagine un po’ da libro Cuore, lo ammetto. Ma era proprio così.
Franco Lemaitre ascolta rapito le mie storielle nostalgiche, come fossero relitti riemergenti dal mare di un passato morto e sepolto. Lui però in compenso si ricorda i colpi di pistola che uccisero i fratelli Menegazzo, che abitavano dietro casa sua. La prima rapina omicida romana, il segnale torvo che annunciò col sangue all’intera città una novella tutt’altro che lieta: i tempi stavano cambiando.
Come diceva Bob Dylan.

5 commenti su “Altri tempi”

  1. Susanna Merloni

    Altro tempo, la scuola un vero e proprio laboratorio dove si mischiano e si intrecciano diverse provenienze sociali, con tutto quello che ne consegue, abbigliamento, taglio di capelli, linguaggio, comportamenti, ognuno impara dall’altro. Tutti i vecchi compagni sono presenti nella memoria dell’autore, che non ne lascia indietro nessuno, come presente è, nella mente e nel cuore, quella città ormai scomparsa degli anni sessanta.

  2. Toti Carpentieri

    Ed oggi ancora di più. Anche a me è capitato di avere tra le mani vecchie fotografie di classi miste nelle quali i maschi (avevamo tutti dodici/tredici anni) erano un campionario vivente di pantaloni: corti, lunghi, larghi, stretti, alla zuava, colorati, a tinta unita, e le ragazze, impegnate in quel passaggio verso le donne che stavano per diventare, irraggiungibili agli approcci emotivi.
    Mi chiedo, cosa avranno tra le mani i nostri nipoti per poter ridare attualità al tempo passato? Un similfiore con quattro petali semicircolari colorati di rosso, di giallo, di verde e di blu, su uno schermo touch screen, passibile di scomparsa definitiva per un click errato con l’indice.

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