AMARCORD SAN LORENZO

Io a San Lorenzo ho abitato dal ‘75 alla fine dell’89: ero nata in Prati e avevo abitato fino a 24 anni al confine fra Trastevere e Monteverde, mi sembrava di andare a vivere in una periferia pittoresca ma anche misteriosa e temibile. Non c’erano stranieri (la prima immigrazione dall’est e’ cominciata con il crollo dell’Urss nel 1991), ma accanto alle brave persone convivevano “pacificamente” delinquenti autoctoni, spacciatori e rapinatori, anche loro parte a pieno titolo del quartiere.
In cinque anni casa mia e’ stata svaligiata tre volte, fino a quando non mi sono potuta permettere le sbarre alle finestre: mi dissero che doveva essere gente di fuori, perché a San Lorenzo non si rubava nelle case dei sanlorenzini. Abitavo a ridosso del Parco dei caduti del 19 luglio 1943, dedicato alle vittime del bombardamento tedesco, e sopra la scuola media: nel giardino, a ricreazione, i ragazzini giocavano alla rapina in banca, ovvero uno di loro faceva il guardiano vicino alla porta, gli altri, nascosti dietro al muro con un bastone che mimava un fucile, saltavano fuori al grido di “a pezzo de merd@!”, e lo ammazzavano (aveva tanto l’aria di un apprendistato).
Era l’epoca dell’epidemia di eroina, che a Roma ammazzava almeno una persona a settimana: a mia figlia piccola avevo dovuto insegnare a non saltare dentro i mucchi di foglie, ed evitavamo la strada che costeggiava le mura, vero e proprio tappeto di siringhe. In farmacia, quando facevi la fila, aveva la precedenza il tossico con gli occhi vacui, che comprava siringhe e acqua distillata, in genere pagando; tutte le farmacie di zona, però, venivano regolarmente derubate.
Nei primi anni settanta, prima del rappel à l’ordre Craxi-Berlusconi, a San Lorenzo il terrorismo faceva la parte del leone: sotto casa mia c’era la sede di Comunione e liberazione, dove di notte, un giorno sì e un giorno no, veniva lanciata una molotov, anche se in genere ci si limitava a un principio d’incendio, e comunque dovevamo conviverci. Convivevamo anche con le P38 e le manifestazioni violente, davanti al cimitero del Verano si sparava; la mattina, quando uscivo, il portiere mi raccomandava: stia attenta, signora, che oggi c’e’ la manifestazione a lettere…
Radio Città Futura e Radio Onda Rossa avevano molto seguito tra gli studenti, ma nel quartiere ha continuato a imperare il Pci fino al ’77, anno della contestazione di Lama all’Università’ (ricordo i tipografi della GATE, la tipografia dell’Unita’ che stava dietro casa mia, a via dei Taurini, che piangevano increduli vedendo il loro amato leader sbeffeggiato dai gruppettari).
Il PCI era stato un punto di rifermento per tutto il quartiere, ci si andava per “prendere la linea” ma anche e soprattutto per ricevere consigli su ogni tipo di problema, da quelli economici a quelli personali; una volta una donna andò a protestare perché alla festa dell’Unita’ era stata invitata una cantante che si era messa con un uomo sposato: “difendete le rovinafamije?!?”, sbraitava.
I delinquenti, noti magari anche alla sezione del PCI, godevano di un salvacondotto inattaccabile: spesso le loro macchine si fermavano in mezzo alla strada mentre i due guidatori si salutavano mettendosi a parte delle ultime notizie, se osavi un tenue suono di clacson uno di loro si voltava e con l’aria truce sibilava: che cazzo voj? Niente, rispondevi, e aspettavi vilmente che avessero finito.
C’era un’aria di paese, ci si conosceva tutti. Ricordo la vicina di casa che per svezzare il bambino che a un anno e mezzo pretendeva ancora di essere allattato al seno si cospargeva di peperoncino i capezzoli (“piagnevamo tutti e due pe’ er bruciore, ma che potevo fa’?”); ricordo nel negozio di telerie una vecchia che entrò e disse: “me servono l’asciugamani der bidè’”. “ospiti?”, azzardo’ il negoziante;. “e che all’ospiti je faccio fa’ er bidè’?”. Ricordo Luigino, che girava sempre in bicicletta, allegro e un po’ ritardato, dicevano che era così perché era rimasto sotto i bombardamenti.
Dopo molti anni ci sono tornata una sera d’estate: un pub poco affidabile dietro l’altro, negozietti “di vicinato” gestiti da bengalesi con la birra a un euro, strade impraticabili perché chi si imbottisce di birra dopo piscia a ogni angolo, africani che ti volevano vendere rose appassite, lo spaccio in piena vista (è tornata l’eroina), la “movida de noantri” in piazza dell’Immacolata, quella col campanile emulo di San Marco a Venezia, un’aria di profondo poveraccismo, di degrado e abbandono. Gli studenti continuano a vestirsi come nel ’75, creando un curioso effetto alla Ritorno al futuro: ma io non credo che ci tornerò.

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