Trenta anni fa usciva Amatissima di Toni Morrison, un romanzo di imponente forza e profondità. Un romanzo che si radica nelle viscere, nell’anima e nella memoria di qualsiasi essere sensibile e pensante. Con un personaggio femminile, Sethe, che entra di diritto nell’empireo dei più grandi personaggi della narrativa occidentale, da Don Chisciotte ad Emma Bovary, da Raskolnikov ad Anna Karenina, da Gregor Samsa a Molly Bloom. Narra la vita di una schiava fuggiasca del Kentucky, che conquista la propria libertà, ma che rimane prigioniera di un passato che la incatena alla sofferenza, al senso di colpa, alla visione di fantasmi.
Attraverso i monologhi di vari personaggi, che si incastrano come i tasselli di un passato dolorosamente rimosso e sempre affiorante, ma a sbalzi e per associazioni improvvise, conosciamo la sua storia, quella dei suoi quattro figli, del marito scomparso, di Baby Suggs, la suocera dal cuore troppo grande, e di Paul D, suo compagno di schiavitù in una tenuta chiamata con sarcasmo Sweet Home.
Si rivive la insopportabile condizione degli schiavi afroamericani, prima e dopo la Guerra Civile (1861-1865); condizione che l’autrice racconta anche nel critico momento di passaggio verso l’emancipazione, che annovera terribili e ferocissime regressioni e violenze da parte della popolazione ”bianca”.
Difficile dimenticare le condizioni di sub-vita a Sweet Home, dove i tanti Paul, Sixo e Halle, futuro marito di Sethe, e Sethe stessa, erano proprietà prima del “liberale” Mr. Garner dopo del sadico Maestro. Uomini e donne usati come animali da allevamento, vessati e torturati in mille, tristi modi; figli strappati alle madri per essere subito venduti e spediti chissà dove. È l’immensità di quell’obbrobrio che fu la schiavitù dei neri negli Stati Uniti d’America che sgomenta e sconforta.
La finezza di Toni Morrison non è solo nella rievocazione di dell’obbrobrio. Al possesso terribile che porta un uomo a essere e credersi proprietario di un altro uomo, con un potere di vita e di morte su queste sue “proprietà”, l’autrice affianca il possesso non meno terribile e inaccettabile a cui può giungere certo atteggiamento materno. Perché una madre che pensa di avere il diritto di vita e di morte sui propri figli – sia pure per volontà di estrema protezione – si arroga un diritto di proprietà su un essere e sull’essere non diverso da quello degli schiavisti.
Riemerge infine l’atto terribile e sconvolgente; un atto che alienerà Sethe da tutta la comunità nera di Cincinnati; che sconvolgerà l’animo di Baby Suggs, che pure ne aveva viste di tutti i colori nella sua vita; perché mina la fiducia primaria e assoluta, che lega un figlio ancora infante alla tutela e alla protezione suprema della madre. Se viene a mancare questo, non resta che sdraiarsi su un letto e meditare all’infinito sui colori. Oppure, dopo una soffertissima folie a deux, cadere in un catatonia irreversibile.
Amatissima è un romanzo che, oltre alle innovazioni stilistiche e strutturali, ha il respiro epico di un Tolstoj e le vertiginose profondità psicologiche di un Dostoevskij.