Vai a vedere l’ultima trasposizione di Anna Karenina (Gran Bretagna 2012) e non ti sembra di essere al cinema. Joe Wright, che ha già diretto film in costume come Orgoglio e Pregiudizio, ambienta il capolavoro di Tolstoj in un teatro. Sul palcoscenico si alternano i personaggi del dramma. Le quinte di tanto in tanto si spalancano e il teatro si apre al mondo reale: la stazione di San Pietroburgo, bianca di neve, con il treno che porterà Anna a Mosca; l’operaio che finisce tragicamente sotto le rotaie, quasi un presagio per la giovane donna; l’incontro con il conte Vronsky, per cui Karenina perderà la testa, l’onorabilità e infine la vita.
Al di là della storia, conosciutissima, è interessante l’uso quasi spregiudicato con cui il regista alterna la forma teatrale a quella cinematografica, riuscendo a creare dei tableaux vivants da cui gli attori escono ed entrano. L’ambientazione, i costumi, i gioielli, gli arredi sfarzosi delle nobili case moscovite sono spettacolari. La fedeltà alla trama e ai tempi del romanzo è squarciata da lampi di modernità. Il ballo a corte tra Anna e Vronsky si fa sensuale e ardito, con gli altri ballerini che rimangono fermi come statue di sale e ricominciano a volteggiare solo quando la coppia li sfiora. Le inquadrature si succedono con una tale velocità da ferirti gli occhi. I cavalli in corsa all’ippodromo, un attimo dopo galoppano sul palcoscenico, così come il treno innevato non scorre più lungo le rotaie, ma è lì che sfreccia sul fondale. La fotografia ti incanta: i campi di grano giallo sembrano dipinti da Van Gogh, certe atmosfere di interni da Vermeer. Gli attori, anche la bella Keira Knightley, fanno talvolta rimpiangere altre interpretazioni. Ma, nonostante tutto, il film ha fascino. Il dramma di Anna e la sua lenta caduta nella cornice di un impero che sta per essere spazzato via dalla rivoluzione del ’18, sono ben raccontati. Il ritmo è veloce e alcune immagini, come il mare d’erba agitato dal vento nel catartico finale, ti allagano gli occhi e anche un po’ il cuore.