«Anni felici: peccato che nessuno di noi se ne sia accorto». È la chiusa dell’ultimo film di Daniele Luchetti. A pronunciarla la voce narrante di Dario, un ragazzino di dieci anni, figlio di Guido e Serena. Gli anni felici sono quelli dell’infanzia, la stagione dei sogni e della spensieratezza. A patto di non vivere in una famiglia strana e conflittuale.
Guido, pittore e scultore, si gingilla con la pop art improvvisando happening artistici e realizzando busti in gesso di modelle compiacenti che nel chiuso del laboratorio diventano sue amanti. Serena, la giovane moglie, si occupa della casa e dei figli, Dario e Paolo, il più piccolo.
Gelosa del marito e del lavoro da cui Guido la tiene lontana, Serena annulla se stessa vivendo nell’ombra rancorosa delle mura domestiche. È il 1974, l’anno del referendum sul divorzio. Il Partito comunista sta per effettuare lo storico sorpasso sulla Dc e le donne rivendicano i loro diritti, la liberazione dal predominio maschile.
Femminismo a parte, centrale nella trama del film, il clima politico resta sullo sfondo e il racconto segue i turbamenti della coppia e quelli di Dario, bambino intelligente e inquieto, che passerà dall’infanzia all’adolescenza con un atto di ribellione nei confronti dei genitori. Con un nevrotico Rossi Stuart nei panni di Guido e un’ottima Micaela Ramazzotti in quelli di Serena, la pellicola prende slancio nella seconda parte, dopo un inizio un po’ troppo di maniera. Il finale, sorprendente, lascia capire ciò che prima era rimasto in sospeso, consegnandoci il ritratto di una storia famigliare che è per tutti, padre, madre e figlio, un percorso di difficile formazione.
Anni felici di Daniele Luchetti (Italia-Francia 2013).