Apocalypse now?

Il fantasma della catastrofe aleggia angosciante su tutta la zona euro. Se fino a ieri la caduta della moneta europea era data per improbabile, fra gli addetti ai lavori di Wall Street e della City londinese cresce e si fa largo la convinzione che una tale eventualità non sia poi, così, impossibile.
I segnali, in effetti, non sono per nulla incoraggianti e al timore di una nuova e rovinosa recessione, più grave forse di quella del 1929, si unisce, anche, la consapevole certezza della fine di un’epoca.
La situazione è grave. Ma davvero l’Europa rischia di esplodere?
L’attacco speculativo ai titoli sovrani e il deprezzamento dei valori azionari che da alcuni mesi registrano le piazze finanziarie di mezzo mondo, soprattutto europee, è stato determinato da una crisi di sistema, di governance più esattamente, che rischia, però, di trasformarsi in una crisi di liquidità.
Il pericolo concreto di piombare in uno scenario apocalittico esiste solo se non si fa nulla per evitarlo.
Negli Stati Uniti da tempo, economisti e giuristi, si interrogano sull’opportunità di modificare le regole che presiedono alla governance delle società quotate e al buon funzionamento del mercato (per vero il discorso è dal 1930 che va avanti e non si è mai interrotto) trattandosi di argomenti che implicano scelte politiche in termini di rappresentanza e di rappresentatività.
Risale al 2002, la Sarbanes-Oxley Act, una legge (introdotta dal governo federale americano proprio per evitare il ripetersi di scandali finanziari come Enron e Tyco) che disciplina in modo dettagliato diversi ambiti del governo di impresa e attribuisce alla SEC (Securities and Exchange Commission) il potere di imporre, con regolamento, regole di condotta e modifiche alle negoziazioni di borsa.
La SEC, nel corso di quest’ultimo decennio, ha adottato diversi provvedimenti in materia e la stessa amministrazione Obama, appena insediatasi alla Casa Bianca, è dovuta intervenire in modo deciso e con corposi aiuti di stato, per scongiurare il fallimento di importanti banche d’affari americane.
La criticità del rapporto fra potere degli amministratori e controllo degli azionisti deriva dal fatto che negli Stati Uniti numerose norme di diritto societario non sono stabilite dalla legge del governo federale, bensì dal diritto interno dei singoli stati (è questo per esempio il caso del Delaware dove avevano sede le società coinvolte negli scandali finanziari) il che non consente né al governo centrale né alla SEC di esercitare un effettivo controllo sulla governance.
Il problema, dunque, prima ancora che economico è politico in quanto tocca e mette in discussione la struttura stessa del sistema federale.
La questione relativa al buon governo e all’equilibrio fra poteri (di decisione e controllo) ha investito pure l’Europa, dove, ormai si è giunti alla conclusione che per superare la crisi economica sia necessario procedere ad un rafforzamento delle istituzioni politiche, dato che un Unione europea a 27 e una zona euro a 17 rende difficile prendere qualsiasi tipo di decisione in materia economica.
Se finora l’Europa si è mossa lentamente fissando limiti e adottando provvedimenti contingenti, lo spettro della catastrofe ha dato una clamorosa accelerata ai lavori ponendo le basi per una vera e propria rivoluzione, assolutamente necessaria, per rafforzare l’unione politica e monetaria, l’integrazione fiscale e di bilancio, che sono requisiti importanti per mettere la moneta unica al riparo dalla bancarotta generale.
La decisione annunciata dalla Bce di aprire un credito illimitato al sistema bancario della zona euro e l’accordo intergovernativo siglato a Bruxelles – lo scorso venerdì, fra i 26 Paesi membri dell’Unione, ad eccezione dell’Inghilterra che ha deciso di rimanerne fuori – che impone il perseguimento del pareggio di bilancio e conferisce all’Unione europea poteri fiscali più ampi, sono segnali importanti perché hanno l’obiettivo storico di procedere alla revisione dei Trattati e conferiscono, alla stessa Unione, gli strumenti per una politica economica comune.
Francia e Germania si sono assunte, insieme alla BCE (Banca centrale europea), l’impegno di far uscire l’Europa dalla crisi, ma per evitare il pericolo della catastrofe è l’Italia che deve fare la sua parte.

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