Ariaferma

L’aria è ferma e il tempo è sospeso tra le mura antiche e scrostate del vecchio carcere appollaiato sulle rocce. L’istituto è in dismissione, quasi completamente evacuato ma dall’alto arriva lo stop per una dozzina di detenuti che dovranno restare ancora lì in attesa di trasferimento: a sorvegliarli un piccolo drappello di guardie carcerarie. Lo scontento è diffuso: soppresse le visite parenti e i pasti cucinati in loco, solo cibo confezionato, sbobba immangiabile sia per i sorveglianti che per i sorvegliati.
Il regista Leonardo di Costanzo, già noto per i suoi documentari e i suoi film d’impegno (L’Intervallo, L’Intrusa), mette a fuoco una storia di intensa potenza emotiva in cui l’ambiente carcerario – che pure è scandagliato nelle sue dinamiche – è solo un pretesto per raccontare la complessità dei rapporti umani.
In una specie di “Deserto dei Tartari” o di “Aspettando Godot“, il giorno del trasferimento pare non arrivare mai: i detenuti iniziano un rumoroso sciopero della fame finché uno di loro, l’autorevole Don Carmine Lagioia, non propone di cucinare lui stesso per la comunità. Dopo molti tentennamenti il compromesso viene accettato, a sorvegliare l’improvvisato e temibile cuoco, l’ispettore Gaetano.
Tra coltellacci di cucina sotto chiave, pentoloni fumanti, spaghetti alla genovese e polpette al sugo, i due si guardano appena: l’uno, lo sbirro, impettito nell’uniforme d’ordinanza, il recluso sudato tra i fornelli. Si annusano insieme agli effluvi invitanti dei cibi preparati, attenti a non far trasparire emozioni: la tensione si allenta solo quando ad aiutare arriva il giovane Fantaccini, ragazzo tormentato dai sensi di colpa per il suo crimine.
Gli avvenimenti, banali e al tempo stesso straordinari per il luogo e le circostanze in cui avvengono, si srotolano svelando il carattere complesso degli altri carcerati e soprattutto quello dei due protagonisti principali. Toni Servillo, l’ispettore Gaetano e Silvio Orlando, Don Carmine, mettono in campo le loro incredibili capacità attoriali, senza sbavature o eccessi istrionici riescono a incarnare ciò che sono nella finzione scenica: il carceriere e il carcerato ma anche due esseri umani in cui la pietas e l’ascolto dell’altro diventano prevalenti.
Presentato fuori concorso al Festival di Venezia, in gara per la candidatura agli Oscar, “Ariaferma” è un film che rappresenta il meglio della cinematografia italiana, non solo contemporanea.

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