Per parlare di Arya bisogna saper tacere. Il suo pensiero è azione.
Arya è arte marziale personificata. L’arte marziale di essere sé.
Se la guerra, le difficoltà, la fame e l’orfanitudine potessero divellere l’etica appresa dai genitori e dall’ambiente d’origine, ci sarebbe una sola religione e un solo sistema mononota.
Per questo Arya Starck non diventerà una killer indiscriminata, quand’anche la setta dei senza volto fosse la più potente e affascinante risposta alle prepotenze subite.
Quand’anche la violenza ti solletichi l’anima, venisse pure il demone della vendetta a sedurti nelle tue notti tormentate, se è esistita una giustizia che tu riconoscevi come tale nella tua infanzia, tu non la tradirai nemmeno nel momento di una spirale di lotta, non te lo dimenticherai nemmeno nella notte più disorientante.
Ognuno ha una stella polare che non perde di vista nemmeno da cieco, ed è il fondamento di sé. Arya cerca coerenza, conoscenza, chiede, impara, ma crede alla propria ragionevolezza, non si lascia manipolare in nessun caso, non è persuadibile, ubbidisce in una logica di collaborazione, non di servitù. Sa essere disciplinata, ma non dismette mai il proprio discernimento.
La resilienza diventa semina, in Arya.
Perché si allea anche in assenza di amici.
È leale al di là della propria stessa salvezza in presenza di nemici. Forse perché non c’è salvezza senza amici.
Non dimentica i doni ricevuti, non rinuncia allo sguardo che scorge poesia nei peggiori posti, tiene se stessa da conto per spendersi laddove avrebbe un senso. L’economia di Arya è soggetta agli scopi, ma non ad ogni costo: il come per Arya è molto più del che.
Sospiro, perché non le posso tendere una mano. Arya è sola, ma la sento vicina e taccio stringendo il pensiero: la voglio viva, anche se per lei non tradire se stessa è molto più importante che rimanere viva.
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