Il poeta analfabeta accoglie la maestra venuta dal nord con alcuni dei suoi versi, pronunciati in un idioma quasi incomprensibile. La conduce nell’aula vuota, dagli arredi scarni e polverosi e da un armadio tira fuori un mappamondo e una cartina dell’Italia. Dove sono i ragazzi? – gli chiede la maestra – giù alla Marina, insieme ai genitori, a parlare con il sindaco – le risponde lui. Primi anni 50’, Africo, piccolo comune nell’Aspromonte, poche centinaia di abitanti afflitti da cronica povertà: niente elettricità, niente strade, nessun medico, nemmeno un paio di scarpe da mettere nei giorni di festa.
Mimmo Calopresti, regista calabrese, ripercorre i sentieri impervi della sua terra, raccontando la storia di un paesino sperduto e bellissimo, e della sua gente, abituata a sottomettersi al giogo dei più forti, stretta com’è tra la brutale arroganza del possidente locale (un odioso Sergio Rubini), e le ottuse autorità cittadine. Gente ferita nella sua dignità e nella voglia di riscatto, che la maestra elementare venuta da Como – una istruita e che fuma in pubblico come un uomo – cerca di instillare nei suoi studenti, sporchi e cenciosi, ma pieni di curiosità negli occhi. “Qui si studia per passione. Mica perché serve a qualcosa” risponde l’insegnante (Valeria Bruni Tedeschi) ai giornalisti venuti da fuori per fare un servizio “folkloristico” sui bambini di Africo. Bambini poveri ma belli, cresciuti in fretta per aiutare i padri nei campi, spaccare le pietre e la legna. Con “verismo” verghiano, Calopresti imbastisce la sua favola triste, in cui anche gli eroi, i pochi che decidono di tener testa al Potere, sono destinati alla sconfitta. Forse a vincere è solo Ciccio, il poeta analfabeta, che si nutre di paesaggi e silenzi e che dedica frasi d’amore all’asina di nome Rosa. Oltre al regista e al produttore Fulvio Lucisano, quasi tutti gli interpreti sono calabresi: gli indomiti Peppe (Francesco Colella) e Cosimo (il ragazzino cresciuto Marco Leonardi di “Nuovo Cinema Paradiso”) e Ciccio, il bravissimo Marcello Fonte di “Dogman”. Tratto dal libro dell’africota Pietro Criaco, accompagnato dalle musiche di Nicola Piovani, un film che racconta le nostre origini, impastate di terra e fango, di lacrime e sudore.
Mimmo Calopresti, regista calabrese, ripercorre i sentieri impervi della sua terra, raccontando la storia di un paesino sperduto e bellissimo, e della sua gente, abituata a sottomettersi al giogo dei più forti, stretta com’è tra la brutale arroganza del possidente locale (un odioso Sergio Rubini), e le ottuse autorità cittadine. Gente ferita nella sua dignità e nella voglia di riscatto, che la maestra elementare venuta da Como – una istruita e che fuma in pubblico come un uomo – cerca di instillare nei suoi studenti, sporchi e cenciosi, ma pieni di curiosità negli occhi. “Qui si studia per passione. Mica perché serve a qualcosa” risponde l’insegnante (Valeria Bruni Tedeschi) ai giornalisti venuti da fuori per fare un servizio “folkloristico” sui bambini di Africo. Bambini poveri ma belli, cresciuti in fretta per aiutare i padri nei campi, spaccare le pietre e la legna. Con “verismo” verghiano, Calopresti imbastisce la sua favola triste, in cui anche gli eroi, i pochi che decidono di tener testa al Potere, sono destinati alla sconfitta. Forse a vincere è solo Ciccio, il poeta analfabeta, che si nutre di paesaggi e silenzi e che dedica frasi d’amore all’asina di nome Rosa. Oltre al regista e al produttore Fulvio Lucisano, quasi tutti gli interpreti sono calabresi: gli indomiti Peppe (Francesco Colella) e Cosimo (il ragazzino cresciuto Marco Leonardi di “Nuovo Cinema Paradiso”) e Ciccio, il bravissimo Marcello Fonte di “Dogman”. Tratto dal libro dell’africota Pietro Criaco, accompagnato dalle musiche di Nicola Piovani, un film che racconta le nostre origini, impastate di terra e fango, di lacrime e sudore.
“Aspromonte – La terra degli ultimi” di Mimmo Calopresti – Italia 2019