C’era una volta una città da dissetare. La seconda città al mondo dopo Il Cairo, costruita in un deserto, dove l’umidità è all’ottantotto per cento; più di due milioni di persone senza accesso all’acqua pubblica, coi camion cisterna che per rifornirli chiedono dieci volte il prezzo corrente.
Siamo a Lima, Perù, e se si guardano le colline, verso le nuvole, appaiono disseminate di teloni, schierati come vele a formare la frase “Una promessa è una nuvola”; un’insegna alla Hollywood, ma non decorativa. Questi mulini al contrario servono a incamerare nelle loro trame l’umidità che si condensa, goccia dopo goccia raccolta dentro grandi bidoni per ottenere acqua a basso costo.
Circa 350 litri di acqua al giorno per ventiquattro metri quadrati di teloni, installabili dai contadini nei loro appezzamenti a fronte di un piccolo investimento.
Si chiamano Atrapanieblas, cattura nuvole. Sono stati realizzati grazie al movimento popolare Peruanos sin Agua, al suo presidente Abel Cruz Gutierrez, agli ingegneri e al programma sociale di alcune aziende private che vi collaborano.
Quella che sembrava una maledizione: deserto, siccità, nebbia è diventata risorsa grazie a ingegno e buona volontà.