Il ballo del Balo è la bala. Sfera che rotola in campo, sfere voluttuose in corpi femminili, pomello del cambio della sua Ferrari rossa. Voce bresciana profonda che spara monosillabi o stupidaggini, catene d’oro appese dovunque (forse anche laggiù, tra gli ammennicoli personali), aria da finto rap macho, Balo è anche finito sulla copertina di Time come icona nera e spregiudicata.
Ci deve essere un fraintendimento: l’uomo che mostra i muscoli in mondovisione dopo un gol, con potenza culturista e strafottente, manda al diavolo l’arbitro a ogni partita, arriva in ritardo al lavoro e fa notte fonda nelle disco, dorme invece di incontrare una ministra che si batte contro le discriminazioni, si para dietro una generica ragione razzista per difendersi dai buuu destinati solo a lui, è padre per sbaglio, fregato da una soubrette, ma non sa manco che faccia abbia sua figlia, merita una qualche fama?
Balo prende la vita come una bala. Per questo è un idolo. Gli idoli oggi sono evanescenti, fighi senza sostanza. Basta un bel gol, un gestaccio incazzato, una cresta multiforme sulla testa, il menefreghismo riottoso per qualsiasi regola, ed ecco che si diventa qualcuno.
Occorrono arroganza, baldanza, flagranza e via, si danza. Se no, la vita pesa.