#localiperpensare – è l’hashtag che sta girando su twitter. Io dico: sì, anche solo per chiacchierare in pace. Lo ha lanciato Gianluca Nicoletti nella sua rubrica su la Stampa. Io aderisco, subito.
Ricordo, tanti anni fa, i meravigliosi bar di habitué dove a Milano ci si trovava, l’Oreste in piazza Mirabello, l’Angolo e il Giamaica a Brera, dove noi studentelli facevamo amicizia con scrittori e artisti. Dove nascevano amori e idee creative. Dove la vita ferveva. Niente juke box, ma biliardo, flipper e 8americano – un gioco di carte intelligente e non d’azzardo. Ma soprattutto si parlava, e facilmente si pensava.
Ora sono vecchia e vivo a Roma. E ricordo la Roma dove in piazza Navona, del Pantheon o del Popolo si incontravano amici e si viveva una vita vera. Ho anche un lontano di ricordo di via Veneto, da bambina, intimidita, al tavolino di un caffé che forse era Doney, con la mia bellissima madre, a ascoltare i discorsi di famosi, e bravi, scrittori e giornalisti.
Adesso non è più così. Domenica scorsa, nella pur amatissima Campo dei Fiori, per rifugiarci dalla pioggia scrosciante e mangiare qualcosa, abbiamo dovuto girare tutta la piazza, con mio marito che entrava in avanscoperta, per trovare un posto dove io potessi entrare senza senza sentirmi male. Sì, perché io soffro di iperacusia catastrofica, regalo del malefico incontro tra una forma di autismo a alta efficienza (che rende molto sensibile ai rumori), e un infarto cocleare, che mi colse nei miei 50 anni, e mi spazzò via dalla vita sociale.
Sì, ma non tutti gli aspiranti clienti dei #localiperpensare sono invalidi come me. Ci sono ancora giovani (e pure non più giovani) che sono intelligenti come i lettori di questa Rivista – e che non hanno necessità di un gran rimbombo intorno a sé, per scordare il gran vuoto che hanno in testa. Perché la testa ce l’hanno.
Persone normali che han voglia di ritrovarsi fra loro in ambienti tranquilli, per intrecciare conversazioni spiritose o anche serissime. Per fondare eterne amicizie, riviste online, movimenti liberatori. Per procurarsi ricordi da far durare tutta la vita. Per divertirsi o innamorarsi, guardandosi in faccia e parlandosi. La vita è questo, e io lo so perché non posso più averlo.
E quindi vi prego, lettrici e lettori di Ellerì, fatemi sapere se in Italia ci sono ancora luoghi da vivere. Aiutatemi a diffondere questo appello. E se siete romani soprattutto: troviamo un posto dove incontrarci e stare insieme.