MONOLOGO VALERIA VIGANO’ per “Lo specchio delle donne” – all rights reserved
Come stai ? bene bene tutto bene bene grazie ah bene bene tutto a posto abbastanza bene me la cavo bene.
E’ facile, svuoto il fiato, apro un sorriso convinto, dimostro la gioia di un incontro piacevole, è facile. Guardo l’interlocutore e dicendogli bene bene so che mi risponderà altrettanto, bene bene, con il ghigno soddisfatto negli occhi.Bene bene, bene bene. Il punto di incontro può essere una piazza, il cinema, un luogo di villeggiatura, un funerale, il supermercato, la presentazione di un libro, un autobus. Ma non c’è riflesso, non c’è un vero specchiarsi, un consegnarsi l’intimità di un saluto. Via via l’intimità. Là, lontano dai corpi, lo snodo della menzogna è infinitamente chiaro, là i sorrisi si fondono per un istante, per un istante la convenzione ci rende cortesi e accoglienti.
Sono diventata maestra del bene bene. Come i dieci dan del Karatè richiede anni e un lungo apprendistato, mossa dopo mossa, combattimento dopo combattimento, esame dopo esame. Ho raggiunto alla fine la giusta intonazione, la corretta postura, la rapidità di ciò che si chiama l’intelligenza del contesto, che altro non è che capire al volo dove si è, con chi si è, quando si è. Purtroppo c’è chi invecchia nell’imperizia, ne rimangono ancora parecchi, impacciati, incapaci di pronunciare due semplici parole, bene bene. Certo, senza un po’ di decisione che fa credere all’altro ciò che si vuole, si borbotta un bene bene maldestro, insostenibile, un bene bene che arretra già mentre si dice, pronto a scappare rosso in volto. C’è chi non sa mentire come non sapevo io, ma più probabilmente non sa contenere, colto di sorpresa da un conoscente, un compagno di classe o il direttore dell’ufficio, l’ oscuro disagio. Com’è stentato allora quel bene che scivola velocemente verso il balbettio. Com’è facile sconfinare in un mica tanto bene, in un eh cosa vuoi, seguito immancabilmente da mah, si tira avanti. Patetico! O magari reclamare una partecipazione nel mondo con: la vita è difficile. C’è anche chi cede di schianto e, al malcapitato che ha posto la rituale domanda, come stai?, risponde abbassando la testa senza dire nulla, chi la alza fiero e dalla sua bocca esce un lapidario STO DI MERDA.
Ma che ci vuole dio santo a dire la formuletta, quelle due paroline non costano niente e fanno felici tutti vicendevolmente. E poi c’è il vantaggio che, quando dopo cinque minuti di una banale conversazione, si girano i tacchi e si prosegue soli, si prova una certa compiacenza verso se stessi. Siete stati davvero bravi, il tono era perfetto, né esageratamente entusiasta, che induce a credere subito il contrario e fa passare per fessi, né lamentoso, che lascia trapelare il tormento e allora che lo dite a fare?
La menzogna del bene bene funziona a meraviglia, come un orologino svizzero, solo quando è reciproca. In questo modo si misura davvero la propria indole a dissimulare e si certifica così la maturità. So inventare, mascherare , convincere, so dare l’immagine giusta di una forza equilibrata. Questo è lo scopo. Il guaio è che qualche volta ce ne scordiamo. Se uno dei due protagonisti dell’incontro scricchiola nella sua certezza, allora l’interlocutore, fingendosi interessato, affonda partecipe, pronto a ricevere nelle sue mani il dono della resa: la nostra verità.
Certo l’infelicità dell’altro da una parte è sempre un succo prelibato, nettare per esistere facendo confronti e uscirne vincente, ma qualche volta pesa!
Con quel pallore terreo sul viso nascosto da occhiali scuri o dal bavero di una giacca, al bancone di un bar pieno di luci si incontra l’altro. Che è, al contrario, sfavillante. Affabile, ciarliero, come minimizza bene le piccole contrarietà! Perché ha riconosciuto in noi la malattia. E’ troppo tardi per riuscire a svicolare. Magari sa già tutto prima che le parole decisive vengano pronunciate. Già informatoo sul nostro stato, ci concede il lusso dell’ascolto, bevendo un sorso di caffè.
Bene bene, in questi casi, è una formula che proprio non riesce a uscire. La nostra afasia lo spinge a pagare lui il conto, diventa generoso anche se non c’è denaro che salvi dal dolore, ma comunque allevia.
Il bene bene è la meta a cui miriamo tutti, uno scopo da raggiungere al più presto, il traguardo da tagliare per essere ammessi al circolo dei beati che hanno la grazia della perfida leggerezza, il dinamismo inserito nei meccanismi oliati di chi, dopo aver appreso le regole della società civile, non deborda, non deraglia, non esplode. Il recinto del bene bene in fondo è uno spazio protetto, uno zoo che raccoglie esemplari che si adattano alla cattività. Dopotutto sono vivi, imprigionati ma vivi, Per premio gli viene dato il cibo più adatto, viene pulita la gabbia con spazzoloni e detersivi e un po’ di segatura che copre lo scagazzo.