DIMENTICARE
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Dio asseconda il mio
più segreto volere,
che io stessa non so,
fa in modo che
perda gli oggetti, i nomi,
il mio passato,
quel che avevo creduto di volere,
il mio scarso sapere.
Lui mi ha spogliato
di tutti i miei pensieri:
pensieri vagabondi,
passeggeri!
Pensieri neri,
pensieri affaticati!
Ora senza di loro,
libera dal passato e dal futuro,
sto in un vuoto presente.
Qui musiche, sapori,
colori, affetti
trasvolano e si perdono:
gli oggetti
sospesi nella mente se ne vanno.
Poi lo spazio silente
ma sgombro, intero,
lo spazio trasparente.
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Le poesie di Bianca Tarozzi sono storie narrate in versi, racconti in poesia, poemetti, affreschi in rima. Sono liriche fatte di narrazione, trame fittamente e finemente intrecciate con il filo del linguaggio, il sapiente filo del linguaggio di Tarozzi in cui ironia, leggerezza e compassione sono i punti che utilizza per il ricamo. Nelle sue poesie racconta in versi un mondo che sembra perduto e lontano, un mondo che echeggia la tradizione e dà luce a oggetti di cui si era persa memoria: un tempo altro a cui la memoria riporta si avvicenda con il presente vivo e vivido, fatto di persone e cose reali, un quotidiano concreto. Lo scherzo che il lessico di Tarozzi crea è il continuo altalenarsi tra parole talvolta inusuali, rime interne e un dire moderno, contemporaneo: è anche nel ritmo, nella forma musicale, che la sua poesia registra ciò che vede, sente, ricorda, accade, ciò che la circonda. Emerge, in tal modo, la sua esigenza di nominare le cose, di fare delle sue poesie oggetti della memoria e della parola e, d’altro canto, di fare degli oggetti sue poesie. Una ossimorica urgenza di contemplazione del mondo, del presente o dei ricordi, per poi divenire scrittura del mondo nel forgiare parole durevoli. Un universo di memorie e osservazioni cucite nel lino di una poesia per non dimenticare.
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Bianca Tarozzi, Il teatro vivente, Milano, Scheiwiller, 2007