Biglietto solo andata

 

Con mio marito abbiamo scelto l’Italia per le solite ragioni.
Lui più che altro per il clima e la cucina, io per lo shopping e qualche monumento. Siamo partiti da Columbus, Ohio: io piena di aspettative, lui col bagaglio zeppo di stick anti zanzare.
Il nostro giro è cominciato da Venezia, dove una cena fettuccine bolognese-bistecca- vino della casa è costata settanta euro a testa. La traversata dei canali è stata pittoresca, il gondoliere ci ha cantato “O sole mio” e io ho scattato tante foto a mio marito con lo sfondo dei palazzi, anche se gli ho tagliato via la testa varie volte per colpa dell’ondeggiare.
Ho fatto delle foto anche a Stefano, il gondoliere, e almeno lui è venuto tutto intero, con quegli occhi che sembravano disegnati a carboncino.
In Piazza San Marco mio marito è stato bersagliato da un piccione, ma al bar del nostro albergo, mentre lui si consolava con l’Amaretto di Saronno, gli hanno detto che va bene, perché la cacca che calpesti o che ti piove addosso porta sempre fortuna, è una certezza.
Abbiamo proseguito con Firenze, albergo tre stelle vicino alla stazione. Al ristorante panoramico Da Mario’s ci hanno cantato “O sole mio”, versione chitarra, fisarmonica e violino. Il vino era tiepido, al cameriere tremavano le mani e mio marito si è impuntato, niente mancia. Al tavolo di fronte dei giapponesi scattavano foto con i cellulari e a quel punto mi sono messa a fotografare anch’io, concentrandomi su Gino, il violinista.
Il giorno dopo ci siamo messi in coda per gli Uffizi. Dopo un’ora di attesa mio marito mi ha detto che lui per l’arte si era sacrificato abbastanza e se n’è andato a fare un tour dei bar del centro. Io invece sono entrata e ho chiacchierato con una signora belga, che mi ha consigliato Prada per le scarpe e Gucci per le borse.
A Piazzale Michelangelo, la sera, mi hanno palpato il sedere, ma la mia amica Dottie mi aveva detto di metterlo in conto, ché qualche mano morta in Italia era fatale, così io non mi sono scomposta più di tanto. In compenso mio marito mi ha regalato un finto Bulgari comprato da un cinese e la signora del chiosco delle bibite mi ha letto la mano prospettandomi felicità e denaro.
Per finire siamo arrivati a Roma. La ragazza della biglietteria dei Fori mi ha raccontato che a Roma ci sono quattro milioni di abitanti e solo due linee di metropolitana e la colpa è dei sassi che trovano sottoterra appena si mettono a scavare, però l’acqua del rubinetto è buona e si può bere se non soffri di calcoli renali. A cena in trattoria ci hanno servito la pasta cacio e pepe. A mio marito è venuto un attacco di tosse per il pepe e il suo raschiare di gola si fondeva con la voce di Remo, che ci cantava “O sole mio” senza nemmeno l’aiuto della musica. Ho fatto delle foto a Remo, al cuoco e a Lisa, sua moglie, che era incinta del loro primo figlio.
L’ultimo giorno abbiamo fatto il giro con l’autobus a due piani. Mio marito non è voluto scendere per via dei piedi gonfi dal caldo e si è messo a litigare con una coppia di francesi perché gli dava fastidio il fumo delle loro sigarette. Alla fine del giro si è fermato a bere una sambuca, io sono corsa alla fontana di Trevi per buttare una moneta. Era domenica e avrei almeno voluto vedere il Papa che si affacciava da San Pietro, ma avevamo l’aereo all’alba, il giorno dopo, e mio marito ha preferito rilassarsi al chiosco a bere birra, mentre io facevo un tour guidato della Galleria Borghese.
Ora siamo sull’aereo di ritorno per Columbus. Mio marito continua a ribadire che l’Italia è una chiavica, un paese fatto di rovine, piccioni incontinenti e acqua stagnante. Io nella borsa ho il numero di Stefano, quello di Gino e la mail di Remo. La valigia per il mio prossimo viaggio solo andata l’ho comprata stamattina in Via Condotti.

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