BOLETUS EDULIS

Contea di Dublino, 30 dicembre, 1916
La donna con il filo di perle camminava nel bosco denso di nebbia. I rami appesantiti dalle bacche invernali si piegavano al suo passaggio in inchini solenni. Era uscita all’alba per cercare funghi dopo due giorni di piogge violente. Portava con sé un cestino traforato e una tovaglia a quadretti rossi e bianchi, macchiata di marmellata di visciole. Si era chinata per raccogliere i boletus edulis, i più comuni in Irlanda, quando a terra, poco distante, tra le faggiòle e il muschio, la donna con il filo di perle vide una bambina appena venuta al mondo. Era avvolta in un panno di lana rosa, abbandonata ai piedi di una quercia. Si avvicinò. La bambina non piangeva, ma il suo viso aveva sfumature azzurrognole come il lago di Sligo. La donna con il filo di perle decise di salvarla, raccogliendola tra le braccia che non avevano mai cullato un bambino fino a quel giorno. La bambina iniziò a piangere, mentre il bosco le faceva da coro, con il vento tra le fronde che ululava presagi funesti. La nebbia si addensò e il cielo tuonò minaccioso. La donna con il filo di perle strinse a sé la bambina e la portò via. Camminò a passo svelto, con la testa bassa e il mento puntato sul petto per proteggersi dal vento freddo, e si lasciò il bosco alle spalle.
La donna con il filo di perle portò la bambina alla stazione di Dublino, dove un uomo col cappello fumava il sigaro, un altro leggeva il giornale e tutti aspettavano; alcuni di partire, altri di vedere finalmente qualcuno arrivare. Sapeva cosa fare e dove andare.
La bambina smise di piangere, le sue guance morbide si erano scaldate a contatto con la lana aran del cardigan della donna che la teneva stretta al petto. La donna con il filo di perle comprò un biglietto per Howth e il treno arrivò poco dopo, con un fischio stridulo e una nube di fumo bianco ad annunciarlo.
La donna con il filo di perle non conosceva ninnenanne, ma sussurrò alla bambina la melodia di una vecchia ballata. Sin iad aneas na soilse ag teacht, le fáinne geal an lae.
«E la luce del mattino brillava sul nascere del giorno» ripeté, senza cantare.
Il sole era ormai maturo quando il treno arrivò a destinazione. La sua luce fredda e invernale si specchiava nell’oceano. La donna con il filo di perle, la bambina stretta tra le braccia stanche, raggiunse il porto, dove si fermò a guardare le gazze marine volare sull’acqua. Seduta su una panchina di marmo, si dondolava dolcemente avanti e indietro, così come l’acqua densa e calma faceva ondeggiare le barche di legno che riposavano in rada. Il mare era calmo e questo significava che sarebbe stato un buon giorno per i pescatori, e in particolare per Finn e Cora MacLou.
La donna con il filo di perle conosceva Finn da molti anni. Era stato un buon amico con cui aveva condiviso pinte di Guinness e sigarette quando i suoi capelli erano ancora scuri, senza fili d’argento. Si erano innamorati senza accorgersene, ma non ebbero il coraggio né il fervore per amarsi fino in fondo. Finn, pescatore già all’epoca, sposò Cora, figlia di pescatori, mentre la donna con il filo di perle si intrappolò in un matrimonio senza amore con un medico, così come sua madre aveva ritenuto opportuno. Finn non aveva mai smesso di augurare ogni bene alla donna con il filo di perle e di pregare per lei, e la donna con il filo di perle non aveva mai smesso di amare Finn. Ma Finn amava Cora di un amore maturo e responsabile, senza inganni e senza rimpianti. Finn e Cora MacLou avevano vissuto lunghe primavere insieme senza dolori fino al giorno in cui lei cadde in una disperazione muta scoprendo di non poter avere figli. I suoi modi allegri di donna del porto non tornarono più. Cora era invecchiata di mille anni in un solo giorno e Finn era sbiadito con lei. La donna con il filo di perle sapeva che la bambina che teneva tra le braccia era un piccolo miracolo voluto da Dio.
Si alzò dalla panchina di marmo quando le gazze marine erano sparite oltre la linea dell’orizzonte. Raccolse il cestino vuoto e strinse a sé la bambina. La casa di Finn era come la ricordava: un piccolo cottage di pietra chiara e ruvida, con il tetto spiovente di paglia intrecciata e due finestre quadrate con le inglesine di legno rosse. Le avevano dipinte insieme in un giorno d’estate di molti anni prima. L’erba verde brillante del giardino che circondava il cottage cresceva ordinata come un tempo, ogni filo uguale all’altro per spessore e altezza. C’era silenzio tutto intorno se non per i gabbiani che garrivano forte in lontananza.
Percorse il sentiero acciottolato fino alla porticina di legno. Era socchiusa.
Sebbene fuori tutto fosse rimasto com’era, la donna con il filo di perle sapeva bene che, oltre quella porta, il crepitìo del camino acceso e la collezione di libri di Walter Scott tenevano compagnia a Cora MacLou, e non più a lei. La donna con il filo di perle si domandò se Cora MacLou avesse raddrizzato il quadro storto nella sala da pranzo.
Sollevò la mano sinistra chiusa a pugno e l’avvicinò alla porticina di legno per bussare, ma la ritrasse subito e abbandonò il braccio lungo il corpo. Non voleva affrontare Cora, non voleva imporle il peso della gratitudine eterna nei suoi confronti. Appoggiò sull’erba umida il cestino traforato, proprio davanti alla porticina di legno, e vi adagiò dentro la bambina, sistemando con cura la tovaglia a quadretti rossi e bianchi così che i fili di vimini non rovinassero la coperta in cui era avvolta.
«Ti avrei chiamata Sinéad, dono di Dio. Chissà come ti chiameranno». Le accarezzò dolcemente il volto con il dorso della mano. «Sii felice».
Bussò tre volte con decisione contro la porticina di legno e fuggì subito via lungo il sentiero acciottolato, lì da dove era venuta, lì dove Cora non avrebbe potuto vederla, e corse disperatamente verso il mare.
Si fermò solo quando i suoi passi incontrarono le lapidi antiche del cimitero di St. Mary, tra le croci celtiche con le loro ombre lunghe e le pietre tombali mangiate dal muschio. Si accasciò contro la parete dell’antica abbazia, luogo testimone di riti pagani e vecchie liturgie, ma di cui ora non rimaneva altro che la struttura di pietra rivolta con malinconica fierezza verso l’oceano.
Le sepolture giacevano disordinate nel terreno umido, tempio di lumache e vermi, anonime e dignitose, tutte diverse ma tutte uguali allo stesso tempo. Solo due lapidi si distinguevano tra le altre, con la pietra più bianca e più lucida, e l’epigrafe in oro non intaccata dal tempo.
La donna con il filo di perle di avvicinò e scostò appena i rami di edera che abbracciavano le due pietre tombali.
Cora MacLou, 18 maggio 1890 – 24 dicembre 1916
Finn MacLou, 15 dicembre 1894 – 1° dicembre 1916. Ho combattuto per la Corona, forse sono morto invano. Tiocfaidh ar la. Il nostro giorno verrà.
«L’ha scritta sua moglie. L’epigrafe, intendo». Il prete, avvolto nell’abito talare scuro, le si era accostato all’improvviso e incombeva su di lei come un’ombra maestosa e rassicurante. «Negli ultimi mesi al fronte, Finn aveva cominciato a nutrire simpatie da irlandese repubblicano».
«E la moglie?»
«È morta di dolore, pochi giorni fa» spiegò, laconico.
La donna con il filo di perle annuì, sebbene sapesse in cuor suo che di dolore non si muore, ma che si può decidere di uccidersi per non provarne più. Fu grata al prete per non aver indagato oltre, per aver taciuto la reale ragione della morte di Cora, così che potesse riposare in pace, accanto a Finn.
«Devo andare» disse al prete bruscamente.
Corse di nuovo, più veloce, verso il cottage di pietra dove aveva augurato a Sinéad una vita felice. Trovò solo il cestino di vimini vuoto con la tovaglia a quadretti rossi e bianchi lì dove lo aveva lasciato poco prima.
La donna con il filo di perle guardò il cielo e congiunse le mani in preghiera. Gli irlandesi lo sanno, a volte le fate rubano i bambini più belli dalle loro culle per portarli via con sé.
Aprì la porticina di legno del cottage. L’odore di polvere le pizzicò le narici. Il quadro appeso storto non l’aveva raddrizzato nessuno, le vecchie stoviglie in rame erano ancora esposte nella vetrina verde scuro. Sul tavolo della sala, accanto ai fiori appassiti nel vaso e al centrino di pizzo ricamato, c’era un volantino impolverato.: due donne e una bambina guardavano un plotone di soldati partire per la guerra. “Le donne d’Inghilterra dicono: andate!” era scritto a grandi caratteri sullo sfondo del cielo azzurro. La donna con il filo di perle si domandò se Cora avesse davvero detto a Finn di andare, se le donne d’Inghilterra lo avessero fatto. Si domandò infine se lei stessa avrebbe detto a suo marito di andare. Non se ne era presentata l’opportunità, poiché i medici servono in patria come al fronte, ma seppe in cuor suo che avrebbe detto “va’” e avrebbe pensato “non tornare”.
Si sedette accanto al camino spento, sulla vecchia sedia a dondolo, avvolgendosi nella coperta di lana calda. In quella casa c’era ancora posto per lei. Strappò la collana di perle dal collo, rompendo il filo. Le perle rimbalzarono sulle assi di legno del pavimento, ticchettando e rotolando impazzite sotto l’acquaio, vicino al camino, tra le gambe delle sedie impagliate. Quando si fermarono tornò il silenzio. Evelyne ansimava forte, mentre ciò che rimaneva dell’abbazia di St. Mary si stagliava all’orizzonte come ultimo baluardo contro la modernità.

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