Bonatti Walter, Scalatore

I primi di febbraio del 1958, sessanta anni fa, Walter Bonatti, nel corso di una spedizione in Patagonia. Dopo aver fallito la conquista della vetta inviolata di Cerro Torre ; ma, con l’amico Mauri si rifarà nei giorni successivi  scalando k0″inesplorato” Cerro Mariano Romeno: E’, poi, la volta del Cerro Adela e del Cerro Luca, una cima anch’essa inviolata, così denominata in omaggio al figlio di Mauri, nato da poco.

 

Walter. Un nome da fisarmonica. E da vino. Operaio della Falck, mica roba da signorine. A lavorar l’acciaio ci vuole un fisico della madonna, e Walter c’ha ‘sto corpo che sembra fatto di cuoio, resistente e plastico insieme. È uno che si vede che è fatto per durare. Ha i capelli in testa fitti come i tronchi dei pini, su diritti come nella pubblicità della Presbitero.

Con Erich Abram al campo base dopo la salita del K2
Con Erich Abram al campo base dopo la salita del K2

La montagna. La montagna lo chiama. Lo vuole, è come una donna che lo ammalia. Gli dice vieni da me. Ma su fino in cima, ti voglio. Lui si capisce subito che è uno che gli va stretto tutto, che gli serve spazio. Ha quella smania di andare, di salire. Per andar su in parete la prima volta si fa i chiodi da solo perché di soldi non ne ha. Li forgia nel fuoco, come in fabbrica.
A vedere come andavan su allora, adesso ti vien da dire che neanche se ti pagano fai lo stesso. Giacca a vento e pullover di lana, altro che pile. Calzettoni di lana fatti a mano. Una grattugia. Che poi si bagnavano tutti. E diventavano una grattugia bagnata, pensa che roba.
Walter ha il corpo adatto per diventare un fuoriclasse. Resistente e atletico. Forte anche di testa: non deraglia, non perde la calma. Fisicamente è un bel toso con un sorriso che ti porta via. Il naso: una cengia. Gli occhi, neri. Con dentro uno scuro come quella notte passata a 8.000 metri abbracciato a uno sherpa per non crepare di freddo. Quella notte che i Signori del K2 l’hanno lasciato solo perché quel ragazzino di 24 anni gli faceva girare i coglioni, avevano capito che sarebbe diventato più grande di loro.
Più forte. Andar su, sempre. E quando sei arrivato in cima ridiscendere. Pieno di tagli, lividi e freddo ma con tutto il cuore e la testa riempiti da quello che hai visto là sopra e da quello che hai passato, sofferto e patito per arrivarci. Gli alpinisti son gente strana. Sognatori e lottatori che si congelano, soffrono e muoiono anche, ma devono andar su. Studiare, ragionare, pensare. Decidere e andare. Questi matti qua sono così.
Il loro segreto è che trovano piacere in una fatica che sembra senza senso. Una fatica bestia, che ti fa male tutto, hai un freddo boia che ti si ghiaccia anche il culo ma vai avanti perché è quella sofferenza là che vai cercando. Non vuoi altro. Niente che non sia andar su, arrivare in cima. Mani come artigli. Gambe dure come marmo e i piedi che si piantano nella parete come chiodi.
Va su sul Grand Capucin a vent’anni. E deve tornare indietro per due volte, la bufera difende le cime come un’amante gelosa. LA TERZA CI TORNO E PERDIO APRO UNA STRADA NUOVA CHE SI CHIAMERA’ COME ME, “LA VIA BONATTI”. E ci riesce, il ragazzo. Ma la montagna che gli ha permesso di conquistarla si prende in cambio la sua mamma. Il cuore le è andato via per l’emozione quando al ritorno gli han dato una medaglia d’oro. Ma via di corsa per la prossima, se non ti fermi non senti il dolore.
Su per il Cervino. Ma per la cresta, perché nessuno l’ha mai fatto prima e vuoi essere tu a toccare le pietre che nessuno ha toccato da quando è nato il mondo. A 24 anni lo portano in spedizione coi Signori che vanno a conquistare il K2, perché è l’Italia che ce lo chiede. E lui, che sarebbe stato capace di arrivare in cima da solo, lo adoperano a portar su bombole, come uno sherpa. Come Amir, che va su con lui e che dormono abbracciati, a -50 gradi tutta una notte perché Quelli Famosi non gli han fatto trovare il campo. Che vergogna.
Una vergogna così grande che al ritorno Walter decide. Dopo tutto quello che ha vissuto andrà su da solo. Meglio la montagna che ti spacca e ti umilia piuttosto che la vigliaccheria e l’inganno degli uomini. Perché se in montagna muori sei crepato da uomo, perdio, ma la lotta l’hai combattuta fino in fondo. E se morirai lassù lei ti terrà con sé come una mamma, ti seppellirà e ti custodirà come un figlio.
Via, via. Lontano. Ha bisogno di silenzio. Di spazio. Il Cerro Torre, tremendo. Poi via, ancora. Himalaya. Il Karakorum. E le Ande. La tragedia sul Pilone Centrale del Bianco lo travolge e lo stravolge. La tivvù cerca già vicende appassionanti. VENGHINO SIGNORI VENGHINO CHE QUESTI MATTI VANNO A MORIRE PER NIENTE – E QUELLI CHE TORNANO PERCHÉ SON TORNATI CHE GLI ALTRI SONO MORTI? La gente non può capire cosa hanno dentro l’anima questi qua, non capisce che devono andare, che hanno bisogno di andar su anche a costo di morire. Perché la passione per la montagna è così, non ha mezze misure. È come l’amore, prende tutto.
Da vecchio, Walter non fu mai vecchio. I suoi capelli diventarono tutti bianchi. Non si diradarono perché eran come un bosco di sempreverdi coperto dalla neve dell’inverno. Somigliava ancora a quel ragazzo là, solido, dolce, ostinato e meraviglioso che seppe aspettare tutta la vita gli fosse riconosciuto l’atto eroico del K2. La medaglia d’oro per il Cervino l’aveva accettata con l’orgoglio e la consapevolezza di aver compiuto una grande impresa.
Fu insignito della Legion d’Onore da Mitterand. “A un uomo coraggioso e generoso nel prodigarsi per l’incolumità dei suoi compagni”, recitava la motivazione. Si riferiva al suo eroismo sul Pilone Centrale verso la cordata parallela, ancor oggi uno dei francesi che ha salvato lo chiama fratello. Nel 2004 ricevette la medaglia di Cavaliere della Gran Croce da Ciampi.
MA. Ma. Seppe che con lui ne era stato insignito anche uno dei due “conquistatori ufficiali” del K2. Quelli che l’avevano lasciato una notte a meno cinquanta gradi, per capirci. Quando lo seppe, restituì con una lettera l’onorificenza. Era il giorno di Natale. Perché Bonatti Walter era duro come una roccia, fatto di pietra. Ma rimasto, fino alla fine, puro come un cristallo.

Walter Bonatti e Rossana Podestà, la donna della vita
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