BORN TO BE PRIDE

 

Ne ho visti in tutta Europa. Tutti festosi, partecipati, allegri, senza un filo di violenza. Gruppi, gruppetti, coppie, associazioni. E, a Londra, Copenhagen, Amsterdam sfilano anche per categorie, polizia, compagnie aeree, grandi multinazionali, rappresentanti comunali, sindaci, politici. Con figli, carrozzine, in mezzo ad ali di folla che li accompagnano sbandierando il rainbow dovunque. Il pianeta gay è immenso, con tutte le sfaccettature dell’animo umano, tutte le età, tutti i sessi.
A chi non comprende né la sfilata, né la parola pride rispondo che il corteo è una celebrazione della propria esistenza e della propria diversità; e la definizione inglese è l’orgoglio di poter esprimere la propria vita, ogni giorno un po’ derisa, minacciata, nascosta, disprezzata, non riconosciuta, schernita. Il giorno abbinato a qualcosa segna sempre uno scarto, è cosa vilipesa che va restituita. Il giorno della memoria, delle donne, dei gay, del libro, del silenzio. Laddove c’è necessità di ribadire ciò che gli altri cercano di cancellare e dimenticare o ignorare, c’è una manifestazione di rivalsa. Il Gay Pride da anni ha un’importanza rilevante. È un gioco fatto insieme, una conta, un’espressione, un ritrovarsi uniti e unite. Ci sono paesi in cui le mete sono già conquistate, altri in cui, se si sfila, si rischia la vita, altri in cui neanche se ne parla. In Italia siamo da anni nel guado, in un purgatorio perenne che affossa ogni legge di dignità, uguaglianza e pari diritti, colma di veti religiosi e veti conservatori. Come se il progresso di un paese e la sua eticità potesse prescindere da leggi non discriminatorie. Nessuno stato potrà mai chiamarsi evoluto e democratico, se non riconoscerà tutti i suoi membri, dal primo all’ultimo, in egual modo. Quindi benvenuto Gay Pride!

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