Appena è uscita la miniserie Manhunt su Apple TV, ho dato un’occhiata distratta all’incipit del primo episodio, che mostra l’assassinio del Presidente Lincoln, nel Teatro Ford di Washington, il 14 aprile 1865. Trattandosi di eventi storici di 160 anni fa, ho cambiato canale. Poi, una sera che non c’era più niente da vedere in TV, sono tornata su Manhunt e mi sono accorta dei suoi scottanti riferimenti all’attualità americana.
L’anno scorso in Florida sono stati vietati i libri e i corsi di studio sullo schiavismo nelle scuole, censurando un Premio Nobel come Toni Morrison (meravigliosa scrittrice nera, con romanzi sulla schiavitù). Noi europei, increduli, ci siamo chiesti se in America sia in corso un’epidemia di follia. Questa ottima miniserie, fedele ai fatti storici e avvincente come un giallo, ci mostra il cuore nero di questa demenza collettiva.
Abraham Lincoln vinse la Guerra di Secessione scatenata dagli Stati schiavisti del Sud, e intendeva affrancare tutti gli schiavi e dar loro cittadinanza e diritto di voto. Per impedirglielo, una cospirazione di ricchi uomini d’affari e di spie confederate finanziò l’assassinio del Presidente. La liberazione degli schiavi avrebbe danneggiato l’economia feudale del Sud e posto fine all’indolente e parassita stile di vita dell’aristocrazia schiavista.
Morto Lincoln, il conferimento dei diritti civili agli ex-schiavi e la punizione dei ribelli confederati furono subito abbandonati dal suo successore, Andrew Johnson, che fece accordi coi ribelli sconfitti, e fu per questo definito il peggior presidente degli USA. Quattro anni di guerra civile e 600.000 giovani morti inutilmente.
Il Ministro di Guerra Stanton (Tobias Menzies, instancabile eroe della serie) conduce una personale caccia all’assassino di Lincoln e ai suoi complici, ed è osteggiato, intralciato e infine licenziato dal nuovo Presidente. Uno dei ricchi capi cospiratori, Sanders, viene arrestato e subito liberato. Sanders si vanta: “Potrei sparare con questa pistola in pieno giorno a Wall Street e non mi succederebbe nulla”. Anche noi italiani cogliamo il riferimento ad una frase impudente di Donald Trump: “Potrei sparare a qualcuno in mezzo alla Quinta Avenue e non perderei nessun voto”.
La presunzione di intoccabilità, privilegio e impunità sono le stesse. Guardando Manhunt ho provato lo stesso sdegno e suspense che provo seguendo la campagna presidenziale americana sulla CNN. Stessi cani mastini che latrano falsità e calunnie, sfrontati nella loro superiorità di casta.
I riferimenti alla deriva suprematista bianca in atto oggi in America punteggiano gli episodi di Manhunt. Come gli attuali killer di massa in supermercati e chiese frequentate da neri, anche l’assassino del Presidente, John Wilkes Booth, aveva scritto un manifesto: “Questo paese è stato formato per i BIANCHI, non per i negri”.
Dopo la morte di Lincoln, un giornalista chiese a Stanton, il ministro di guerra, se il suo omicidio avesse indebolito la democrazia. Stanton rispose che la democrazia avrebbe prevalso, ma noi sappiamo che il paese rimase spaccato in due, e il Ku Klux Klan al Sud imperversò, incendiò e linciò per oltre cento anni. L’ultima condanna a un leader del KKK è del 2005, per l’omicidio di tre neri attivisti dei diritti civili, delitto commesso nel 1964. Quarant’anni di impunità.
Morto Lincoln, l’esercito dell’Unione fu ritirato dal Sud, abbandonando i neri al terrorismo dei loro ex-padroni. Statue in onore dei ribelli furono innalzate, e le bandiere confederate sventolano ancora. In vacanza sulle spiagge della Virginia, ho visto quelle bandiere nei bar e nei ristoranti, provocatoriamente issate sui pennoni, incorniciate e appese ai muri. C’è un’aria pesante di risentimento e rivalsa, anche se è profumata di magnolie in fiore. Dopo un secolo e mezzo, i sudisti si comportano come se la sconfitta militare del 1865 avesse leso i loro diritti naturali.
I neri dovettero aspettare cento anni prima che i loro diritti civili fossero riconosciuti con il Civil Rights Act del 1964, che proibisce la segregazione e la discriminazione sulla base di razza, colore, sesso, religione. Martin Luther King, con le sue marce di protesta, rese possibile la legge e fu assassinato quattro anni dopo.
Il romanziere D.H. Lawrence scrisse nel 1923 che l’anima americana, nella sua essenza, è dura, solitaria e assassina, “e non si è ancora sciolta”. Lawrence non si riferiva certo alle donne americane o ai neri o ai nativi. Solo i maschi bianchi hanno un’anima. Lawrence, figlio di un minatore inglese, rifiutava di sedersi a pranzo con gente di colore.
La mancata punizione dei ribelli schiavisti dopo la morte di Lincoln fu la cosa che più indebolì la democrazia americana. Al Congresso si candidarono gli stessi insurrezionisti che avevano scatenato la guerra civile e che erano stati perdonati!
Anche oggi il Congresso americano è pieno di estremisti suprematisti che bloccano leggi indispensabili e difendono gli insurrezionisti che attaccarono il Campidoglio il 6 gennaio 2021 per sabotare la conferma di Biden a Presidente.
La miniserie mostra come l’impunità dei cospiratori di allora sia giunta, fino ai giorni nostri, a minacciare le corti di giustizia e la democrazia stessa. Trump deve ancora essere processato per crimini federali come l’insurrezione del 6 gennaio, per truffa contro il governo, ostruzione del diritto di voto, violazione della legge anti-spionaggio, per aver sottratto allo Stato documenti top secret (segreti nucleari e piani militari).
La Corte Suprema è ora composta per la maggior parte (sei contro tre) di conservatori di estrema destra che stanno ritardando i processi federali fino a dopo le elezioni, e che potrebbero garantire a Trump l’immunità assoluta, quella goduta dai despoti.
L’ultimo episodio di questa storia mozzafiato, che vede minacciato lo Stato di Diritto e la democrazia in America, sarà disponibile solo dopo le elezioni di novembre.
Mi piace la lucidità e la scrittura ficcante di Patrizia, sia in una recensione o in un racconto. Che bello leggerti.
piace molto anche a me
Scrittura intelligente per una rivista intelligente! Grazie Patrizia