Cafarnao è la complicata odissea di un ragazzino tra le sporche macerie di Beirut. Non voglio scoraggiare nessuno se premetto che questo film neorealistico mediorientale è stato per me molto doloroso nonostante sia potente e bellissimo. Infatti è una di quelle storie che, quando esci, ti chiedi, dopo tutte le difficoltà della vita che dobbiamo affrontare ogni giorno, se sia il caso di andare a soffrire anche al cinema. Ma le storie importanti hanno giustamente il potere d’insegnarci sempre qualcosa, ricordandoci le tante realtà, anche tragiche, che esistono intorno a noi. Il protagonista è un ragazzino esordiente dallo sguardo fiero, intelligente e malinconico, capace (per quel che è possibile) di difendersi, protettivo con la sorella e con il bambinetto che è costretto ad accudire, ma soprattutto è irremovibile nell’accusare il mondo dei grandi, e quindi dei genitori, per averlo fatto nascere e vivere in un inferno straziante. Il film ci provoca angoscia perché è terribilmente reale, non c’è niente di inventato o esagerato, non indulge neanche a farci commuovere (e questo è il suo pregio e la sua grandezza, sarebbe stata un’operazione di furbizia troppo facile). Appunto per questo, tutta la vicenda è un pugno allo stomaco e ciò che ci fa male è proprio il fatto che non esistono dei veri cattivi perché tutti ci fanno pena, a cominciare da quei disgraziati di genitori che non ricordano neanche la data di nascita dei numerosissimi figli accatastati come bestie in un tugurio. La cattiveria sta nel contesto di assoluta miseria in cui dominano l’ignoranza, la fame, la violazione dei diritti umani, il traffico d’organi e la ulteriore disgrazia di essere femmine di soli dieci anni vendute a mariti stupratori. La regista libanese quarantacinquenne che qui interpreta il ruolo dell’avvocatessa, per firmare questo suo terzo film (degno di Dickens e di Victor Hugo) ha trascorso 4 anni facendo ricerche e visitando carceri minorili. È un racconto coraggioso (l’ha diretto una donna, e questo per me è sempre un valore aggiunto) e meritatamente premiato, un film che ci resta dentro per molti giorni e che purtroppo ci fa sentire impotenti (cosa possiamo fare tutti noi per questi bambini?) e ci fa anche riflettere su quanto sono fortunati i nostri bambini al confronto dei troppi piccoli Zain che popolano il mondo.