CAFFÈ AL VELENO

Al primo piano del palazzo, a metà mattina l’acqua ribolle dentro la macchinetta. La pausa è breve, bisogna fare il caffè in fretta e berlo quando ancora è incandescente. Il capo non vuole che si perda tempo, si è pagati per lavorare non per far ricreazione. Ad una ad una le impiegate si infilano di soppiatto nello sgabuzzino adibito a caffetteria, sorseggiano il caffè e tornano ai rispettivi uffici. Quattro chiacchiere sui capelli. Sono più voluminosi i tuoi, tu da chi vai a far la tinta, quanto ti prende per il degradè, e per fare solo la ricrescita quanto? A un certo punto la lingua di una delle impiegate chissà come si scioglie, saranno le troppe ore davanti al pc che provocano irritabilità, e dice a un’altra:
“Posso dirti una cosa? Hai troppe rughe, il viso smunto e sciupato, sei dimagrita troppo”.
Il caffè si ferma tra il palato e la glottide, la vittima deglutisce, trattiene il respiro e passa al contrattacco.
“Beh, tu invece hai il viso cadente e le braccia flaccide”.
Nello sgabuzzino-bar cala il silenzio. Le impiegate si defilano. Per l’intera giornata continuano a chiedersi cosa ci fosse dentro il caffè, mentre le due rivali si logorano, rimuginando sui propri difetti e deluse per non essere riuscite a dire di peggio. Al ritorno a casa ciascuna chiede conferma ai propri familiari del fatto di non esser dimagrita, ingrassata o invecchiata troppo, gli uomini ridono di problemi per loro futili. Fingono comprensione, ma sotto sotto godono per il fatto di essere uomini, ben sapendo quanti caffè al veleno le donne sorseggino.

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