Papà lavorava a Campobasso, i miei genitori ancora si volevano bene, così io e mamma qualche volta lo accompagnavamo. Lì le strade avevano nomi di fiaba: Vico Tre Dita, Via Porta Fredda. D’inverno la neve ricopriva ogni angolo, mi fermavo nella piazzetta dell’Olmo, di fronte alle scale di pietra, e guardavo l’albero vestito di bianco. Le frange, come barba, gli davano l’aria d’un vecchio. Restavo ad ascoltarlo e non m’importava che non dicesse niente.
Avevo un amico, Nicola, che era figlio dei signori Palladino. Quando lo vedevo spuntare in Piazza Prefettura, con i suoi ricci tondi, per poco non mi mettevo a cantare. I grandi si salutavano e s’abbracciavano e noi due mangiavamo il Pandolce di Lupacchioli. Poi, percorrendo i viali alberati, andavamo a Villa De Capua e facevamo a gara a chi per primo trovava la statua del Conte Verde che aveva i tralci d’uva fra le mani e fra i capelli. C’erano i cedri, gli abeti rossi. Se sparivo dietro un vicolo la mamma mi chiamava e, sistemandomi il cappuccio, mi diceva: «Alice questo è un tiglio. E guarda quest’altro, invece, è l’albero di Giuda. Vorrei vivere qui, nella città giardino.»
Nicola era malato di cuore e io non volevo si affaticasse, così lo invitavo a riposarsi sulle panche di marmo. Lui non riusciva a stare seduto nemmeno per un attimo, correva verso il pozzo ovale carezzando con le dita le siepi di bosso.
Il giorno del Corpus Domini si celebrava la sagra dei Misteri e noi guardavamo la processione dal balcone dei Palladino. Nicola aspettava con trepidazione che passasse il tredicesimo mistero, il SS. Cuore di Gesù. C’erano quattro bambini che, sospesi in aria, si porgevano fiori l’un l’altro.
«Ecco, quelli sono gli angeli» sospirava Nicola e la sua voce era un sibilo, quasi gli costasse molto interrompere il silenzio. «Quello, invece, è l’uomo salvatore. Lui mi guarirà.»
Un anno fu Nicola a interpretare l’angioletto. Lo vidi, a mezz’aria, agitarsi gracile come un ossicino; aveva i capelli del colore dell’olio.
«Nicola vola!» urlai indicandolo dal balcone e lui, dalla strada, mi guardò con la coda dell’occhio. Si sforzava di non ridere e le sue guance erano rosse come pompelmi. Sua mamma batté le mani e si sporse in avanti come per afferrarlo. «Il mio piccolo angelo» sussurrò fra sé.
«Ho visto Nicola volare!» urlai di nuovo, presa da un’emozione che mi fece saltare. Quella sera visitai la Contrada delle Neviere. I miei genitori mi spiegarono che un tempo la neve veniva ammassata e poi venduta per tenere in fresco i cibi o per farne sorbetti. Pensai subito di raccontarlo a Nicola, invece non lo rividi più.
Immagini di Amedeo Perla