I MORTI
Sono molto vicini a noi, i morti;
noi in taxi, loro nel carro funebre,
in attesa che scatti il verde.
Gli diamo la precedenza.
Così vicini a noi, sconosciuti in televisione;
morti di fame, terremoto, guerra,
kamikaze, tsunami.
Ne teniamo il conto.
Dei morti famosi – un fascino doppio –
compriamo la musica, i film, le memorie.
Oh! Elizabeth Taylor che fa Cleopatra
in sgargiante technicolor.
A Venezia, scorgiamo i morti
scivolare in laguna al cimitero sull’isola.
Noi galleggiamo in gondola sui verdi canali
e non moriamo.
“I morti” di Carol Ann Duffy letta da Anna Toscano
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Carol Ann Duffy scrive una poesia fluida e contemporanea, una sorta di narrazione poetica in cui si diverte a giocare con rime, assonanze, scherzi, con i suoni. L’apparente formalità e compostezza delle sue liriche, spesso strutturate ritmicamente e contenutisticamente occhieggianti alla tradizione – da Virgilio alla poesia inglese – si increspa piacevolmente a parole tratte dal gergo comune o con temi forti. Duffy non si ferma, infatti, alla contemplazione della natura e dei suoi fenomeni, come potrebbe ingannevolmente parere dalla sua raccolta Le Api, ma usa la parola poetica per parlare di impegno sociale, di guerra, di letteratura. La sua poesia più autentica è quella che rifrange l’intimo, laddove la morte, il ricordo, la speranza, l’amore alzano il canto della sua voce. I morti: i morti sono ciò che è sia pubblico sia privato, sono la guerra, la disuguaglianza, la catastrofe, la madre, l’amico, un figlio, il carro funebre sconosciuto nell’altra corsia; ma sono anche i personaggi famosi che acquistano così “un fascino doppio”. I morti sono il privato e il pubblico, il singolare e l’universale, il mio e il tuo, il naturale e l’ingiusto che si incontrano per farci ricordare che noi “non moriamo” finché vi è poesia, “[…] è per me una sorta di magia / che tiene vive le cose in un verso scritto”.
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