E ppure sono stati loro, mio padre e mia madre.
C’è da non crederlo ma i due esseri che più di ogni altro al mondo avrebbero dovuto amarmi, hanno compiuto nei miei confronti una nefandezza tale, da segnarmi indelebilmente tutta la vita, fin dai primi giorni: mi hanno chiamato… Catarro!
E dire che non ve n’era motivo.
Ripercorrendo l’albero genealogico della mia famiglia, i De Laurenzi Vigo, dai nobili trascorsi, non vi era un solo avo, fin dal progenitore Fulzio, che portasse quel terribile nome.
I miei, interrogati ripetutamente in proposito, non rispondevano o, se lo facevano, erano oltremodo vaghi, cambiando discorso non appena ne avevano l’occasione.
Sfogliai, allora, durante le notti rese insonni dal ricordo dei motti di scherno di compagni ed amici, i calendari di varie nazioni e contrade, le più lontane, non trovando, però, nessun santo grande o piccolo, che fosse stato canonizzato con il nome tanto odiato.
Avevo in precedenza già escluso che potesse trattarsi del maschile di Caterina ed avevo riscontrato che non esistevano pianeti, né costellazioni lontane, piante, animali, minerali, personaggi di commedie o romanzi o melodrammi, stars dello spettacolo, calciatori, montagne, fiumi, laghi, mari, che potessero illuminarmi sulla fonte di ispirazione dei miei sciagurati genitori.
Abbandonai, vinto, ogni ricerca e mi dedicai al tentativo di cambiare nome, ma non ebbi miglior sorte: Katarro sembrava una storpiatura da sms adolescenziale ; Catharro aveva il solo effetto di sommare allo schifo originario quello di una ‘h” aspirata che rendeva il tutto, se possibile, ancora più disgustoso; Qatar mi identificava con un ricco emirato stillante petrolio; e per vari motivi di non opportunità scartai via via Scatarro, Gatarro, Cacaro, Cazzarro.
Mi rassegnai, ma non vissi mai un giorno veramente felice, perché non ne esistette uno in cui, per una ragione o per un’altra, qualcuno non mi chiamasse per nome.
E fu così sino al momento in cui resi l’anima, dissolto nella nuvola sulfurea di un aerosol assassino.