I progetti coltivati nell’area cosiddetta “di centro” (vedi i congressi di Azione e del Partito Liberaldemocratico) poggiano su una denuncia preliminare: il funzionamento dello “schema bipolare” come si configura oggi in Italia è pessimo.
Gli argomenti addotti sono due. Il primo: il nostro schema bipolare non spinge le due parti in competizione a cercare consenso fra gli elettori che si trovano nella parte mediana della linea destra-sinistra, come accade in altri Paesi (e come è avvenuto, si sottolinea, nel periodo in cui i due leader contendenti sono stati Berlusconi e Prodi). Oggi da noi sia la destra che la sinistra affidano le chances di vittoria alla conquista del consenso sulle rispettive estreme. Ne deriva sia l’incomunicabilità fra i due schieramenti, dannosa quando si devono affrontare questioni che richiederebbero convergenza e cooperazione, come le riforme istituzionali o la politica internazionale; sia lo scadimento delle capacità di governo.
Il secondo: i difetti dello schema bipolare italiano impediscono a una parte dei cittadini elettori di essere rappresentata nella realtà politica e istituzionale, a cominciare dalle assemblee parlamentari. Una parte consistente, anche se non precisamente quantificabile; e importante perché concentrata soprattutto nelle fasce centrali dello spettro sociale.
Ambedue le osservazioni sono fondate, come risulta agli occhi di tutti. Soprattutto a seguito della recente drammatizzazione, le posizioni in materia di politica internazionale hanno assunto un valore dirimente; e proprio sulla politica internazionale si registrano divisioni profonde e non conciliabili nella maggioranza di governo, il che ha immediati effetti negativi quanto ad autorevolezza e credibilità della presenza italiana sulla scena europea e mondiale. Lo stesso avviene nell’area della opposizione, il che aggrava la situazione rendendo del tutta aleatoria la possibilità di una maggioranza più coerente che si sostituisca a quella attuale. Ne derivano esiti paralizzanti che relegano l’Italia ai margini dei processi decisionali europei.
D’altro canto è vero che la partecipazione al voto nelle elezioni è crollata negli ultimi anni e, quindi, una parte crescente del corpo elettorale non è rappresentata (e, in proporzione, si è indebolita la democrazia). Impossibile misurare con certezza quanto la crescita dell’astensione sia dovuta a scelte soggettive e quanto a difficoltà oggettive; si tratta con ogni probabilità di una confluenza di fattori. Alcune cose precise si possono tuttavia dire.
Lo “schema bipolare”, seguito agli esiti referendari del 1993, vige in Italia ormai da trent’anni; ci sono stati cambiamenti nella nomenclatura delle singole forze politiche e nelle leadership, hanno fatto irruzione sulla scena soggetti nuovi. E’ diventato così più difficile delineare in modo stabile i confini dei poli in base ad affinità politiche e programmatiche; per cui ci si è affidati sempre più alla contrapposizione verso “l’altra parte” e alle convenienze di potere.
Sono inoltre cambiate le leggi elettorali: la Mattarella dal 1993, la Calderoli dal 2005, la Rosato (in vigore) dal 2017. Nel 1994, primo anno di applicazione dello “schema bipolare” la percentuale di votanti fu 84,24%, nel 2022 è stata 63,91%, più di venti punti di caduta; che non sono stati però persi con andamento lineare durante tutto il periodo. Nei primi dodici anni, fra il 1994 e il 2006, la perdita – con oscillazioni – fu di poco più che due punti (2,17%); gli altri diciotto e rotti punti si sgranano con ritmo crescente nei successivi 16 anni. I primi dodici anni sono contrassegnati dalla legge Mattarella; nel 2006 si votò sì con la legge Calderoli, approvata però alla fine del 2005. Le urne furono però aperte dopo poche settimane, il 9 aprile, un intervallo troppo breve per modificare le percezioni e i comportamenti dell’elettorato, tanto più che veniva riproposto il duello Berlusconi-Prodi come dieci anni prima.
Più che legittimo, dunque, attribuire alle ultime due leggi attraverso le quali si è espresso lo “schema bipolare” italiano, una responsabilità primaria (anche se non esclusiva) per la caduta della partecipazione elettorale. Ed è anche possibile avanzare una ipotesi per spiegare il motivo per cui (fatti salvi tutti gli altri fattori) le leggi Calderoli e Rosati sono più repulsive rispetto a quella che le ha precedute. Con la Mattarella, per la Camera, si davano due voti, uno sulla scheda per l’uninominale maggioritario e uno sulla scheda per la quota proporzionale. I partiti potevano concorrere nel proporzionale e non presentare candidati nell’uninominale, configurando così un sostegno “esterno” (la “desistenza”) a una delle due alleanze in competizione; gli elettori potevano dare il voto per la parte proporzionale anche ad un partito non coalizzato e scegliere nello stesso tempo il candidato di una coalizione nella parte uninominale maggioritaria.
Con la Calderoli e con la Rosato il voto è uno solo. La Calderoli era semplice e brutale. Votavi, cioè sceglievi, il partito punto e basta. Con ciò accettavi tutto quello che era stato già deciso: leader, maggioranza, eletti. La Rosato, più macchinosa, è perfino più offensiva per l’elettore; la Calderoli, infatti, attribuiva il premio di maggioranza alla coalizione che arrivava prima e non prevedeva collegi uninominali. La Rosato, invece, prevede un 37% di eletti in collegi uninominali e un 63% ripartito su base proporzionale. Questo complesso meccanismo è, però, imbragato nel vincolo di poter dare – appunto – un solo voto. Puoi votare per un partito o per un candidato nell’uninominale. Quel voto vale per il partito nel proporzionale, per la coalizione che sostiene il candidato nell’uninominale, per il premier, e per il candidato nell’uninominale.
Se proprio vuoi restare qualche secondo di più nell’urna di croci ne puoi mettere due, una per il partito e una per il candidato uninominale; ma se non sono coerenti la scheda è annullata. Non è consentito il voto disgiunto, né è consentito a una lista di presentarsi per partecipare solo alla quota proporzionale; deve presentare candidati anche nei collegi uninominali. E’ evidente che, in tal modo, se non si impedisce formalmente, si rende nei fatti difficile e perfino sgradevole la partecipazione alla competizione elettorale a liste che non si coalizzino; ancor peggio se si tratta di liste nuove che – ad esempio – vogliano offrire una proposta alla vasta area degli astenuti. Una lista del genere avrebbe l’obiettivo minimo di ottenere la rappresentanza con il raggiungimento del 3% dei voti validi; per partecipare, però, deve presentare candidati anche in tutti i collegi uninominali senza la minima possibilità di successo, esponendosi in tal modo alla sicura campagna di tutti gli altri contro il voto inutile, campagna tanto più virulenta quanto maggiori fossero le possibilità di affermazione di quella lista. Un paradosso che basterebbe da solo far giudicare una legge elettorale del genere un ostacolo al buon funzionamento della democrazia.
Questi assurdi offrono, però, l’occasione per promuovere una iniziativa che non metta in discussione lo “schema bipolare” in quanto tale – proposito di portata tale da far perdere di credibilità, almeno nel breve/medio periodo, a qualunque posizione – ma che miri ad eliminarne corollari non necessari e – a dire il vero – piuttosto vergognosi. Basta togliere dalla legge attuale il vincolo che obbliga a presentare candidati in tutti i collegi uninominali e consentire agli elettori che votano per una lista che non ha candidati in quei collegi, di poter scegliere fra i candidati presenti senza che la sua scheda sia annullata.
Le due correzioni dovrebbero essere gradite alle organizzazioni politiche che mirano ad una rappresentanza parlamentare senza essere obbligate ad una preventiva alleanza con uno dei due “poli” maggiori. Mi sembra ovvio. Ma si tratta di interventi che, pur nella loro semplicità, e senza stravolgere l’attuale legge elettorale hanno una rilevanza anche sistemica; rendono cioè il sistema più elastico e aperto, capace di attirare e accogliere elettori che si astengono oggi dal voto perché trovano le attuali offerte politiche troppo lontane dalla loro domanda.
Accogliendo queste modifiche i due poli e le forze che in essi si ritrovano dimostrerebbero di essere sensibili ad un recupero di elettori che disertano le urne, e interessate ad un miglior funzionamento della democrazia. Potrebbero perfino trarne qualche vantaggio sul terreno elettorale approfittando della assenza di un concorrente nei collegi uninominali; né dovrebbero temere che venga compromesso l’esito della competizione bipolare; cioè che nessuno dei due maggiori players raggiunga la maggioranza assoluta nelle due assemblee parlamentari.
Se poi una cosa del genere dovesse accadere, vorrebbe dire che il soggetto non allineato ha raccolto un consenso tale da vanificare la pur consistente correzione maggioritaria prevista dalla legge; e sarebbe allora non solo giusto ma molto utile alla democrazia non avere uno “schema bipolare” rigido al punto da non consentire la registrazione e la manifestazione di mutamenti così rilevanti negli orientamenti del corpo elettorale.
Infine, mettiamoci nei panni del tanto esaltato quanto maltrattato detentore dello “scettro”, il cittadino elettore. Potrebbe sostenere una offerta politica nuova con cui si sente più in sintonia e, nello stesso tempo manifestare con il voto nei collegi uninominali una preferenza per il candidato e per la coalizione che rappresenta, cioè dire la sua nella competizione per il governo. E’ possibile non ci sia proprio nessuno disposto a provarci? Io la proposta l’ho scritta e – credo – motivata; alla peggio è solo l’idea di un volenteroso che non si rassegna al diktat che “non c’è nulla da fare”. Non credo, con ciò, di far male a qualcuno; alla peggio è solo un messaggio nella bottiglia.
PS – Manderò questa nota al mio amico Peppino Calderisi, autorità suprema in materia referendaria. Secondo me si tratta di una idea così semplice da poter essere tradotta in quesito referendario. Non sarebbe bello e utile promuovere un referendum che chiama a partecipare innanzitutto coloro che di solito disertano le urne? Al di là del risultato sarebbe un servizio alla democrazia contare quanti, fra loro, vorrebbero cogliere l’occasione per dire: “Guardate che ci sono anche io!”
Mi sembra una buona idea.
Eh sì. Il nostro ragazzo è in gamba
La proposta mi pare buona, condivisibile….ma temo che, soprattutto da parte dell’attuale maggioranza, si coltivino progetti di tutt’altra natura, tali da aggravare la situazione attuale