Spinge la porta antipanico su un corridoio bianco, lungo oltre 500 metri, su cui si aprono davanti a lei, sul lato destro, sette ambulatori – e a sinistra una sola deviazione, indicante psichiatria. Manca un quarto alle 15: non c’è nessuno. La sala d’attesa, situata all’inizio del corridoio in comune con altre specializzazioni mediche, è vuota e il display fermo. In fondo in fondo vede un gruppetto di persone e si dirige, zoppicando sul bastone, verso di loro. “Buon giorno, è qui ortopedia?”, “SI”, “e neanche una sedia per i pazienti ? Che ridere”. Sorridono tutti: una coppia con appuntamento alle 15, una signora alle 15,20 e la terza, arrivata alle 15,40. Quando anche quest’ultima termina la sua visita non rimane più nessuno in corridoio , a metà del quale lei decide che è meglio fare sosta: ha appena subito una aspirazione alla gamba e deve sistemarsi meglio. Solo all’uscita dal bagno si accorge della presenza, a circa 100 metri, di un uomo alto, con camice e braghe bianche, che la sta guardando. Non è appoggiato al muro, sta quasi sull’attenti, le braccia lungo il corpo. Vede che è giovane, viso tondo, carnagione rosea, lineamenti regolari, capelli tagliati corti ossigenati gialli, occhi azzurrissimi. Sembra un manichino. Decide allora di guardare davanti a sé finché gli è quasi di fronte, dopodiché si gira appena, esalando un debolissimo “buonasera”. Lui risponde “buonasera”. Con la coda dell’occhio, per un attimo, le sembra di intuire uno sguardo non buono che la segue mentre raggiunge, senza paura, senza cambiare ritmo di passo, la porta d’uscita. Una volta fuori ogni paranoia scompare. Però, verso mattina del giorno dopo, a letto, nel dormiveglia, le torna in mente la scena, gli occhi, che ora ricorda. gelidi abbinati a sorrisetto da replicante e si chiede: chi era? un matto della vicina psichiatria? Un medico? L’angelo della morte “bloccato” dalla sua indifferenza? Mercoledì prossimo si farà accompagnare.