Chi la fa e chi l’aspetta

Sono un’aspettatrice, nel senso che aspetto, attendo, anelo… Cosa? Aspetto il tempo, un tempo che mi dia la mia destinazione. La felicità, mi dicevano da bambina, va guadagnata, attesa, costruita, è il fine umano. Ho fatto tutto, ora attendo. Mi fermo davanti all’orologio della stazione di santa Rosalia e attendo che arrivi la mia destinazione.
Sono puntuale, arrivo sempre alle sei e con il pennarello nero, senza farmi vedere dal capostazione, faccio un punto dietro l’edicola, per ricordarmi che ci sono stata anche oggi, ad aspettare la mia destinazione. Sempre i soliti volti, puzze e rumori, in questa stazione dell’attesa; gli altri corrono, io no: io sono l’aspettatrice, la loro spettatrice che aspetta, così mi chiamano, per sfottermi, ma io di loro non mi curo. Io ho un ruolo, loro corrono per nulla.
Oggi un tizio con uno zaino nero sulle spalle si è seduto accanto a me, e quando se n’è andato ho avuto voglia di seguirlo. È stato un attimo fuggente, che mi ha dato un punto di fuga. Non aspetterò più nessun treno, né di diventare come vorrei essere, né aspetterò più in stazione la mia destinazione. La felicità è un percorso: da domani costeggerò i binari della ferrovia.

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