Il lavoro non si ferma mai, neppure di notte. Lascia gli uffici, le fabbriche, le strade dello shopping e si sposta altrove.
Provate a chiederlo a Ian. È partito da Teregova perché voleva qualcosa di meglio. Ha passato la carta velina del confine con la Slovenia ed è giunto a casa nostra. Ora fa il porchettaio lungo le vie del piacere. Affetta un enorme suino imbellettato da specialità di Ariccia. Serve panini a pappa e puttanieri, a metronotte, a guardoni e psicopatici, a malati d’insonnia, a stranieri di passaggio, a spacciatori, a gente a zonzo con il cane, a sbirri in incognito, a gente senza casa che paga con pile di monetine. È contento di quello che fa? È questo che immaginava mentre si allontanava dai Balcani in cerca di gloria? Provate a chiederglielo. Probabilmente alzerà le spalle e dirà solo: lavoro.
Provate a chiederlo alle sentinelle nere che come paracarri segnano il bordo della strada. Chiedete a quelle donne africane cosa speravano lasciando casa, mentre si inoltravano fra sconosciuti ambienti naturali, mentre soffocavano in deserti sabbiosi immaginando quel mare che era stato loro raccontato. Chiedete a loro come si campa nelle nostre città, armeggiando per ore in patte di sconosciuti. Probabilmente alzeranno le spalle e diranno solo: lavoro, pregando che la maman sia contenta.
Non c’è tempo per cambiare, per reagire alla rassegnazione, per inseguire un’altra vita: tutto verrà da sé. Tornerà la luce e poi sarà di nuovo notte. E il lavoro, si sa, non si ferma mai.