C’è qualcosa di sensuale e inquietante nel ciclamino. Il gambo del fiore si attorciglia a spirale quando viene fecondato e la forma compressa ai poli del tubero, osserva Teofrasto, richiama alla mente l’utero femminile. Nelle camere dei giovani sposi la pianta per secoli è stato un augurio di fertilità. Sacro a Ecate, la divinità dell’oltretomba che conosceva le arti magiche, il ciclamino emana un profumo dalle note fresche, candide e delicate. Il suo nome, cyclamen, deriva dal termine greco kyklos che significa cerchio, figura geometrica dalla potente valenza simbolica. A suggerire Il ciclico moto della morte e della vita è il suo tubero velenoso.
I ciclamini erano fiori amati da Antonia Pozzi.
Andava a cercarli a Pasturo, nella Valsassina, ai piedi della Grigna Settentrionale. Il 17 luglio 1929 dopo una camminata, scriveva:
Canto selvaggio*
Ho gridato di gioia, nel tramonto.
Cercavo i ciclamini fra i rovai:
ero salita ai piedi di una roccia
gonfia e rugosa, rotta di cespugli.
Sul prato crivellato di macigni,
sul capo biondo delle margherite,
sui miei capelli, sul mio collo nudo,
dal cielo alto si sfaldava il vento…
*Antonia Pozzi, Canto selvaggio (clicca qui)