Mi capita sovente, percorrendo le strade della nostra collina, o le provinciali che portano al mare, di incontrare gruppettigruppigrupponi di ciclisti.
Allegri e variopinti amatori (del ciclo), d’ogni età e genere, d’ogni stazza e colore ( dal rosato dell’allenatissimo al bordeaux spinto dell’occasionale), ma tutti ugualmente indisciplinati.
Mi diceva un amico – che tale sport pratica con dedizione – che le norme impongono ai pedalofili di procedere in fila indiana. Ma le norme indiane pare non valgano in Romagna. E quindi si va a due a due, a tre a tre, a quattro a quattro. E qui parte l’angoscia del sorpasso.
In queste solitamente strette stradine, non appena ci si accoda a uno di questi gruppi colorati e allegri, improvvisamente e come per incanto si materializzano sulla corsia opposta Ape, pandine ai 30, trattori, mietitrebbie, donne grasse in bici o anziani in Ciao.
Ciò non costituirebbe problema, se le file fossero indiane, ma quelle romagnole impediscono qualsiasi iniziativa. Inoltre mi sono fatto l’idea che la bici provochi sordità, perché il clacson viene regolarmente ignorato.
E quando dopo svariati minuti, per un miracolo, la corsia opposta si libera, ecco che io scateno i cavalli della mia auto, superando di prepotenza, quasi formulaunamente, l’orda.
Mi resta una scelta, in fase di sorpasso: mantenere un aplomb anglosassone, o, all’opposto, gesticolare e urlare come un pazzo.
Ma, poiché in medio stat virtus, ecco che mi limito a sollevare, alto, quel dito.