Citofonare Sharon

Li detesto. Lo schienale della sedia è abbastanza coprente? Accavallando la gamba rischierò l’indebita fuoriuscita di (presunte) grazie? Il bicchiere del distributore automatico verrà espulso, appena sporcato di quella specie di caffè, a un’altezza adeguata? E se per caso, dribblati gli incidenti annunciati, mi cadessero di mano le chiavi dell’auto?
È per questo che li odio. Non si può vilipendere il tempo in questo modo! Sprecarne minuti preziosi a preoccuparsi di una decenza precaria è un’autentica idiozia!
Per non cedere al ricatto, ho dato la caccia al modello vecchio. Quello coprente, serio, consapevolmente out e salvifico. Niente da fare. Il pianeta è invaso da lolite senza cintura, evidentemente. Mi arrendo. Recupererò qualche residuato bellico dall’armadio. Ma una domanda continuerà a torturarmi, temo: se si usassero dei sinonimi cambierebbe qualcosa? Sì, insomma… se quegli adorabili jeans rosa nei quali v’infilate, fossero a “esistenza inferiore”, a “presenza vile”, a “essenza nana”, piuttosto che a vita bassa, sareste ancora tutte lì a rimboccare la ciccia in una zip inguinale?

Ecco. Nel guardaroba ho trovato una gonna. Lunga fino al ginocchio. Con un gioioso elastico, perfetto per abbracciare lo sterno. Sharon Stone –  appollaiata su uno sgabello, con chiari sintomi da colpo della strega (ché cadono pure a lei, le chiavi, che vi credete?!), imbottita di caffè, cioccolata, mokaccini e tè liofilizzati – mi fa un baffo.

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