Ciungomma

La maestra camminava rigida e impettita con i libri stretti al petto. Sembrava avesse paura che qualcuno glieli rubasse.
Entrò in classe senza sorridere e nell’aula piombò il gelo di mezzanotte.
E mentre saliva sulla pedana della cattedra, la maestra inciampò e i libri le caddero per terra. E anche gli occhiali.
Gianna S. che era stata bocciata non so quante volte e che portava già il reggiseno, seduta all’ultimo banco, perché era la più alta di tutte, scoppiò a ridere. Tutte ridemmo. A denti stretti, ma ridemmo. Gianna S. però, rise più forte. Non riusciva a trattenersi. E mentre rideva a bocca spalancata, potevo vedere la ciungomma enorme, rosa, impregnata di saliva, prodigiosamente in bilico sulla sua lingua.
“Non può essere una sola”, ricordo che pensai. “Ne avrà almeno tre in bocca”.
La maestra la guardò con occhi di ghiaccio.
“Esci da questa classe” sibilò.
Gianna S. disse: “Ma perché? Hanno riso tutte!”.
Ed era vero. Avevamo riso tutte, anche se Gianna S. di più.
La maestra però guardava lei. Solo lei. E tutte mi sembrarono vigliaccamente sollevate. Miracolosamente liberate da un peso. Sadicamente pronte a godersi lo spettacolo.
“Ti ho detto di uscire da questa classe”, ruggì la maestra.
Gianna S. si alzò dalla sedia, scostando bruscamente il banco.
Aveva il grembiule troppo stretto e troppo corto.
“Ha ragione, non ha riso solo lei” dissi all’improvviso, alzandomi anch’io.
“Stai zitta e siediti” fischiò tra i denti la maestra, fredda come il vento di maestrale quando soffia a gennaio sul molo del porto vecchio.
Gianna S. a occhi bassi si diresse verso la porta. Io la seguii.
Passammo tutta la mattina in sala direzione, a fare palloni enormi con le ciungomme di Gianna S.
Tre ciungomme per una in bocca. Ridevamo. Ci facevano male le mascelle.
Palloni enormi. Palloni profumati. Palloni morbidi e rosa.

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