Clandestino

Mio nonno veniva da un paesino del Molise. Quando compì 13 anni sua madre lo portò dove partivano i piroscafi per le Americhe e lo fece salire sul primo che vide. Clandestino. Lui mi raccontava che aveva cercato di scendere, ma che la madre gli gridava che da mangiare per tutti non ce n’era. Lui pensava che ce l’avesse con lui perché correndo era andato a finire sui cardi e avevano dovuto chiamare il dottore, e le piangeva dietro:”scusa, scusa!”. Poi non la vide più e il piroscafo partì. Questa è per lui:

Clandestino
tra le gonne e i pantaloni dei compaesani,
dondolando e piangendo,
puzzando e mangiando
quel che riuscivo a rubare ai vivi e ai morti.
Avevo tredici anni ed ero sano.
Avevo però un sasso qui,
nel petto,
che non sono riuscito a sputare mai.
Occupava tutto lo spazio dell’amore
E dunque mi rasai la testa per sempre,
ché si vedessero bene i miei denti:
potevo sorridere e ringhiare, attenzione.
Buenos Aires,
un bagno e panni usati
Spazzavo lavavo e dormivo
Dimenticai mia madre.
La figlia del padrone
Era bella da spaccare il cuore,
E non mi voleva
mi guardava come un ratto.
“Me la sposo” pensai,
Con l’animo di chi mette uno spillone
tra le ali della farfalla più preziosa.
Diceva di amare un signorino
Che avrei saputo uccidere
Con un sol colpo di coltello
Suo padre me la diede,
ché io di giorno ero schiavo
Ma di notte imparavo oro e brillanti.
E i miei gioielli, fatti di rabbia,
lo facevano diventare più ricco.
Lei non ha mai dimenticato l’altro
e neanch’io: ogni volta che me la prendevo
pensavo a lui,
ogni volta che ci nasceva un figlio vincevo io.
Lei stava lì,
inchiodata al mio spillone
Di clandestino

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