Sarà sempre in fondo vero che la mente fa la mano e viceversa, come voleva Henri Focillon: ma grande sollievo di principio è stato il netto distacco metodico tra l’intendere e il manipolare che ha avviato Angela Maria Piga, scrittrice e autrice di saggi sull’arte visiva, sulla via di una atuomatica espressività che punta a liberare, e cioè rivela, il ‘potere immaginativo della materia’, secondo la metaforica versione di Gaston Bachelard.
Terracotta manipolata in molti che dipanano la loro forma dalle movenze originali del cavo orale, matrice di un modellato a tratti e pressioni conseguenti che ravvivano profili e volumi per la cattura della luce nello spazio quale attore primario del variabile effetto visivo delle tre dimensioni.
La scultura non è lingua morta fin che la mano cercherà di intendersela con la materia, affrontandone l’infinito e multiforme potere generativo. ‘Picchia e ripicchia la pietra puttana, guarda come si scaglia e ti sfavilla!’ diceva Papini nella sua preghiera a Michelangelo, invocandone la presenza in una Toscana che ormai senza di lui sembra deserta perché nessuno fa più guerra “ai massi e le montagne”.
Per analoga adesione emotiva, Angela Maria Piga, ha scoperto le sue ‘forme sconosciute’, affidandosi alla rabdomanzia di una manualità tutta rivolta a rivelare quella forma che l’argilla, sua materia prescelta, suggeriva. Ne sono emerse figure plurime di volti appartenenti ad un coro estatico e silente, volti contratti e pure misurati da un ritmo interno portatore di una sobria, essenziale eleganza.
La mostra, presentata da Marco Di Capua e aperta a Roma nella galleria di Daina Maja Titonel in Via di Monserrato, è una occasione da non perdere.