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Manuale di sopravvivenza Pensieri filosofici

Come una festa a sorpresa

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Respirare più a lungo del solito affanno è il mio proposito del mese.
Io sono una che ha sempre vissuto l’oggi. Costruisco per goderne in questo momento, e per questo cammino su un terreno trasparente con l’abisso sotto i piedi. Respirare con calma è già di per sé un impegno: come farlo, dato che a ogni passo la lastra potrebbe incrinarsi e io precipitare? Forse è per questo che l’acqua mi attira tanto, soprattutto l’acqua profonda, che a tanti fa venire le vertigini. A me toglie il fiato, ma è una condizione cui sono abituata, è la mia. Solo che a me lo toglie per l’emozione di sentirmi leggerissima, avvolta, al sicuro, appunto, dal precipitare.
Lunedì scorso, dopo un anno di corso di nuoto in una piscina alta due metri, ci siamo spostate nella vasca alta, e poi addirittura nella ‘buca’, usata per fare apnea. Si può scegliere come entrare in acqua e io scelgo sempre di tuffarmi di testa.
È un picco di gioia sublime, l’impatto. Istintivamente chiudo gli occhi e cerco di imprimere una direzione in avanti, abbastanza sotto la superficie ma non troppo, gambe ben chiuse e braccia verso il bordo opposto. Il rumore mi circonda, le particelle fredde sembrano esplodere in una risata che mi lascia un leggero stordimento da eccesso di adrenalina e che mi fa perdere ogni volta una frazione di tempo prima di cominciare a nuotare.
Come in una festa a sorpresa dopo che hai aperto la porta, i primi secondi ti restituiscono la percezione di essere proprio tu, con nessun merito oltre quello di essere viva e di essere lì. Festeggiata per esserci arrivata. Quando comincio la prima bracciata, ecco che il meccanismo delle aspettative riparte (bisogna nuotare bene!), coordina il respiro in acqua e fuori, spingi con le mani, sostieniti con le gambe.
Oltrepassa il primo metro, poi il secondo, non puoi pensare a niente se non ad avanzare, tenendoti a galla il più possibile, per scivolare con la minor fatica consentita. Con le orecchie sommerse senti il battito del fondo e, quando inclini la testa per respirare, ti arrivano le urla delle istruttrici che rimbalzano sui soffitti sempre altissimi, vedi qualcuno che fuori dall’acqua si toglie la cuffia e afferra la borsa dalla panchetta di legno, e la pinna di quello del nuoto libero nella corsia a fianco. Poi di nuovo sotto, le piastrelle a piccolo mosaico, la riga più scura nel mezzo che deve restare sempre ben distaccata alla tua sinistra. E il silenzio, infranto solo dal battere delle tue gambe e dalle bolle del tuo respiro.
Nell’acqua bassa nuotare è un’illusione, potresti mettere giù i piedi e proseguire camminando, ma quando sei nell’acqua alta hai la precisa percezione della piccolezza del tuo corpo dentro una massa blu, in una convivenza innaturale. E lo capisci chiaramente: ti devi abbandonare. Mettere in atto le quattro cose che hai imparato e poi affidarti. Lasciarti pervadere e trasportare.
Nuotare è un atto di fiducia che viene sempre ricambiato – non siamo abituate a tanta fiducia totale, riposta in qualcosa la cui natura non riusciamo a sviscerare, a questo stare, senza controllare. Eppure qui, nell’acqua, è proprio l’unica cosa che ci salva. E di più, è l’unica cosa che ci fa godere di un corpo finalmente libero e di un’attesa soddisfatta per il merito sublime di averci semplicemente creduto.

 

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1 Commento

  1. Daniela Agostini 20 Giugno 2024

    N immergermi nellacqua e nuotare mi piace moltissimo, e’ un’intesa tra me e il mare…la piscina mi piace meno

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