Veloci scorrono le dita sui tasti grigi,
catturando parole nere sul candido foglio.
Il tocco è lieve, ma il senso è abissale:
sfiora le corde intime e scuote nel profondo
dell’animo dormiente, che non domanda
e tace e recalcitra, stanco di richieste affannose.
Nell’inconscio rifiuto di dolore ancestrale
nasce forte il bisogno di un leggero respiro
che allontani l’angoscia, che reprime
e imprigiona i pensieri sereni.
Liberatorio è il flusso che sgorga impetuoso,
travolgente e improvviso, come polla sorgiva,
mentre il petto si placa e la mente, svuotata,
lentamente richiama una lucida immagine,
un ricordo gioioso, volti amati e dissolti,
sorridenti e festosi su uno sfondo celeste.
Resta un pezzo di me sulla carta stampata,
forse quello che cresce e che strappo,
decisa, con la forza creativa:
la radice essiccata del mio cuore malato.