In principio era la sedia. La sedia pigmea. Pieghevole. Costruita dal padre. Con le gambe lunghe venti centimetri e regolabili in altezza grazie a vitoni con la testa ad anello. Su quell’aggeggio, che nel corso degli anni diventa sempre più irriconoscibile, Glenn Gould si siede al suo strumento, molti centimetri più in basso di ogni altro pianista. Suona così, arrampicandosi sui tasti.
Partire più in basso per giungere più in alto. È questo il segreto? Qualcuno, ma lui ha sempre negato, giura di averlo visto levitare sul suo scranno per raggiungere anche gli angoli più estremi della tastiera del suo Stainway CD 318, il pianoforte dei suoi anni fertili. Su quel piano e, soprattutto, quella sedia esegue e registra le magie di Bach: le Variazioni Goldberg, l’Arte della fuga, le Invenzioni a due e tre voci, le Suites francesi.
Schiacciato su quel trespolo come l’oracolo di Delfi sul betile che indica il centro della terra, Glenn Gould trasfigura. Le mani lunghe, ossute e trasparenti sfiorano la tastiera accarezzandola. Gli occhi si annebbiano. Il corpo prende a muoversi, ondeggiare e roteare, mosso da una spirale di energia tellurica. La bocca si socchiude per rivelare responsi silenziosi, forse incompleti, di certo inaccessibili. Il suono sgorga dall’insieme indistinguibile di sedia, uomo e pianoforte come dal corpo acustico di una divinità refrattaria al farsi carne ma, nonostante ciò, costretta a rivelarsi.
Partire in basso per arrivare in alto. Da una sedia pigmea. Alta venti centimetri. Per arrivare a essere Glenn Gould. Il più grande pianista del ventesimo secolo.
Glenn Herbert Gould.
Toronto, 25 settembre 1932 – Toronto, 4 ottobre 1982