Consapevolezza della bicicletta

 

Avevo circa tre anni e mezzo. Ero seduta sui gradini del portone di casa nostra in via Leone Vetrano. A Genova. Lì fui invasa dalla consapevolezza della bicicletta.
Il mio bellissimo papà, capelli splendenti al sole, cavalcava un puledro scintillante (prestito del droghiere). Passava avanti e indietro, dall’imbocco dell’Aurelia alla piazzetta della Marina, la camicia bianca svolazzante, felice e incurante di tutti, di me soprattutto.
Quando, pur di non investirmi, non riuscì più a evitarmi, mi issò sulla canna e continuò il suo via vai – io deliziata strillavo di piacere e di paura.
Poi però, lo sballottamento, le strade sconnesse dell’epoca, chissà, l’orario, cominciai ad avvertire un crescente disagio, fino al punto che, davanti al portone di casa, urlai in lacrime: “Fammi scendere papà, presto, mettimi giù!”
Lui, tra il seccato e l’ offeso: “Perché, non ti piace più?”
“Oh no, no, mi piace. Però mi scappa la cacca!”
Lui, tra il seccato e il disgustato: “Vai, vai, corri dalla mamma!” E se la filò veloce.
Sarà per questo che negli anni a venire, alle mie ripetute richieste: “Papà, me la compri la bici?” la risposta è sempre stata un no, rotondo. Mai un forse, un chissà, un vedremo.
Le avevo provate tutte: “ Se mi compri la bici vengo con te la domenica mattina a vendere l’Unità”. Ma con la sua personalità genocomunista (geno sta per genovese): a) bicicletta, inutile bene di consumo; b) bambina al seguito, impedimento a vendere più copie della bibbia del partito.
Non s’impietosì mai, neanche quando mi beccai la difterite.
E poi se ne andò, portandosi dietro tutti i mobili e lasciando me e mamma in braghe di tela. Cii rimasi male. Con l’arredo di casa si era portato dietro anche mio fratello.
Ben presto nel nuovo nido venne alla luce una seconda figlia.
Quando mio fratello (che frequentava la casa di papà, dove io non avevo mai messo piede) entrò nella mia camera annunciando:”Oggi Anna ha compiuto cinque anni e papà le ha regalato una bella bicicletta!”, il sangue mi andò alla testa.
Per tredici anni gli avevo chiesto una bici, a qualunque condizione. Sempre negata. E questa, a cinque anni, ha la sua, e ci scorrazza tutto il giorno sul terrazzone vista-mare!
Volevo fargli del male. Le elezioni erano prossime e votai Psiup.
Al solito appuntamento la domenica mattina in un bar di Sestri Ponente, glielo sbandierai.
“Capisco. Devi essere in crisi. Forse non hai un ragazzo?”
“Ne ho due!”
“E non ti vergogni? Ecco, vedi,  sei confusa e insensata!”
Bang bang my daddy shot me down… tarararara tararararara…
Qualche anno dopo, durante un viaggio in Francia, mentre con la mia amica del cuore mangiavo un panino davanti alla cattedrale di Chartres:
“Guarda, dice lei, un borsellino!”
Ci avviciniamo.
“Ma è un Louis Vuitton!” fa l’amica.
“Ma no, sarà una marocchinata!”
Era un originale Vuitton, che abbiamo doverosamene lasciato di fronte alla stazione di Polizia, con dentro i documenti etc. Però senza contanti, che non erano molti, ma bastarono all’ acquisto di due velò, con i quali abbiamo esplorato le strade della Loira e i suoi Castelli. Le bici le rivendemmo, per fame, all’Ile d’Oleron. Tornata in Italia, passata l’estate, m’incontro con mio padre la domenica mattina, nel bar di Sestri Ponente.
Faccio il resoconto delle mie vacanze estive e tutta orgogliosa delle mie imprese parlo della mia bici.
Laconico il commento: “Hai pedalato per centinaia di chilometri sotto il solleone e me la chiami vacanza?”
Bang, Bang, etc…
Non c’erano elezioni in vista, così iniziai a frequentare i gruppi extraparlamentari che lui liquidò come: “Manipolo d’insensati, che torneranno rapidamente sui loro passi, la coda tra le gambe”.
E poi un pomeriggio… viale Brigate Bisagno. Esposta nella vetrina di un autosalone: eccola! La bici per me, fatta apposta per me! Piccola, da ragazzino. Costo: trentamilalire. E io le avevo in tasca. Buona parte del mio stipendio. Entro, la compro, esco.
La domenica mattina, nel bar di Sestri Ponente, dopo aver parcheggiato la mia bici in bella vista sul marciapiede di fronte.
“Guarda Papà, mi sono comprata la bicicletta!”
Bellandi ma come ragioni? Quante bici hai mai visto per Genova? E’ tutta salite e bricchi. Un genovese che si compra una bici è come un esquimese che si prende un frigo. Palanche buttate. E’ da insensati!!”
Bang, Bang, my daddy shot me down!
Mentre mi sentivo rottamare con la biciclettina, tentavo di formulare estremi progetti di vendetta tipo: alle prossime elezioni voterò Missino. Ma capivo che era inutile. Papà mi aveva regalato la consapevolezza della bicicletta e negata la possibilità di goderne i piaceri.

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