Vilém Flusser è un intellettuale di origine ebraica che nel secolo scorso ha dedicato gran parte dei suoi scritti al ruolo dei mass media all’interno del mondo contemporaneo. Interessanti alcune sue considerazioni sulla fotografia e sul rapporto tra fotografo e macchina fotografica.
Scrive in “Per una filosofia della fotografia: “La domanda che la critica fotografica deve porre alla fotografia è la seguente: in che misura il fotografo è riuscito a sottomettere il programma dell’apparecchio alla propria intenzione, e grazie a quale metodo? E viceversa in che misura l’apparecchio è riuscito a deviare l’intenzione del fotografo a favore del programma dell’apparecchio e grazie a quale metodo? Sulla base di questo criterio la “migliore” fotografia sarà quella in cui l’intenzione umana del fotografo ha sconfitto il programma dell’apparecchio, cioè quella in cui il fotografo ha sottomesso l’apparecchio all’intenzione umana”.
Il criterio si può accettare o meno, ma qualsiasi fotografo, che abbia un minimo di consapevolezza, dovrebbe interrogarsi sul tipo di rapporto che instaura con il suo strumento. Il libro venne pubblicato nel 1983. A quarant’anni di distanza ci ritroviamo a ragionare con immagini create da IA. Per generarle, bisogna scrivere un prompt (una stringa di testo), dare il comando e il programma produce un’immagine che sembra una fotografia, ma non lo è, pur basandosi su un database di fotografie. In questo caso, come si pone il rapporto tra intenzionalità e apparecchio di cui parla Flusser? Più accurato è il prompt che scrivo, migliore sarà l’immagine. Ma a prevalere è la mia intenzionalità o il software che genera immagini? Sono io a “sottomettere il programma o viceversa”? Flusser già in quegli anni notava che i “programmi sono sempre più abili a deviare le intenzioni umane verso le funzioni dell’apparecchio”. Rifarsi oggi queste domande al tempo dell’intelligenza artificiale potrebbe essere utile.
Ho provato a chiedere ad un modello di linguaggio basato su GPT-3.5 cosa pensasse a riguardo:
“Secondo te in un’immagine creata da IA prevale l’intenzionalità umana o il software”
Ecco la risposta:
“La questione dell’intenzionalità umana rispetto al software che genera le immagini nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale è complessa e suscita dibattiti. È importante considerare che l’IA è programmata per apprendere dai dati forniti e generare risultati in base a modelli e algoritmi predefiniti. L’intenzionalità umana gioca un ruolo nel processo di creazione attraverso la scelta del prompt e delle specifiche date all’algoritmo. Tuttavia, bisogna riconoscere che l’IA ha delle limitazioni. Anche se può produrre immagini convincenti, la sua capacità di comprendere il significato, il contesto e l’intento umano può essere limitata. L’IA non possiede una coscienza o un’intenzionalità intrinseca come quella umana. Quindi, mentre l’intenzionalità umana può influenzare il risultato attraverso la selezione del prompt e l’input fornito, è il software stesso che elabora le informazioni e genera l’immagine. Potremmo dire che è un dialogo tra l’intenzionalità umana e il software che produce l’immagine, ma l’IA ha una parte significativa nella sua creazione. È importante sottolineare che l’aspetto dell’intenzionalità umana può variare a seconda del contesto in cui l’IA viene utilizzata. Ad esempio, se un artista utilizza l’IA come strumento creativo e prende decisioni consapevoli sull’input e sull’output, allora l’intenzionalità umana può essere più evidente. Tuttavia, se l’IA genera immagini in modo autonomo senza un input o un controllo umano diretto, l’intenzionalità umana può essere meno rilevante. In conclusione, il rapporto tra l’intenzionalità umana e il software nell’immagine generata da AI può essere complesso e dipende dal contesto e dalle modalità di utilizzo dell’IA stessa.”