Roma borgatara: la finestra al seminterrato dell’appartamento si apre sulle gambe dei passanti e sul viso chino di qualche ragazzetto impertinente. Delia cerca di cambiare l’aria gravida di imposte chiuse e di risvegli ruvidi. Ivano, suo marito “che ha fatto du’ guerre ed è molto nervoso“, le ha appioppato un ceffone aggratis appena alzata dal letto. Delia incassa come sempre e corre a preparare la colazione alla figlia Marcella e ai due figli più piccoli sempre in lite tra loro, sfama l’irascibile Ivano, e pure il suocero, immobilizzato nella sua camera, che brontola come una caffettiera. Corre Delia, corre sempre, la figurina slanciata, i vestiti consunti ma dignitosi: corre dalla modista a consegnare busti e reggipetti riparati, a fare iniezioni ai malati, a costruire ombrelli – perché il giovane cui insegno il mestiere viene pagato più di me? chiede – “perché lui è omo” le risponde il padrone.
Corre l’anno 1946, la guerra è appena finita ma le macerie fisiche e morali sono ancora lì, nella fame che affligge la povera gente e nell’opulenza dei ricchi che magari si sono svenduti agli occupanti nazisti. A breve ci sarà il referendum che sancirà la vittoria dei monarchici o quella dei repubblicani e per la prima volta le donne saranno chiamate a votare. Delia si barcamena tra una “mazzata” e l’altra, copre i lividi come può, va al mercato dall’amica che le allunga le coste e le puntarelle, scambia due chiacchiere con il meccanico, forse sua vecchia fiamma, in crisi pure lui. Nei suoi giri conosce pure un soldato americano dalla pelle scura che le regala due barrette di cioccolato.
Paola Cortellesi, attrice, comica, imitatrice e cabarettista si mette per la prima volta dietro, oltre che davanti alla macchina da presa. E il risultato è davvero ottimo: la sceneggiatura, curata insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti è da Istituto Luce, in un bianco e nero che ammorbidisce le asprezze di una città ancora ferita. La musica, a volte moderna (Dalla, Nada, Concato), a volte nostalgica (Achille Togliani), diventa un tango quasi horror quando accompagna a ritmo di schiaffi, pugni e spintoni, la violenza nauseante di Ivano su di lei. Interpretato da un irriconoscibile Valerio Mastandrea, impomatato e baffuto, Ivano è il prototipo del marito/padrone, rappresentazione del maschio che vorrebbe essere virile e invece è solo un vigliacco.
Un imprevedibile finale corona a suo modo (della Cortellesi) una storia d’antan, dolorosa, commovente, a tratti spiritosa, che purtroppo si ripete anche ai giorni nostri con implacabile frequenza.
C’è ancora domani – regia di Paola Cortellesi – Italia 2023
Loretta Grazzini
Bella ricetta per piatto unico!
però è ambientato a Testaccio, non in una borgata (dove nel 1946 ci sarebbero state baracche e non ci sarebbero state strade asfaltate)
un film bellissimo – molto diverso da quel che ci si aspetta di vedere – molto meglio e anche assai innovativo