Cosa volete da me?

Il cadavere era stato mescolato. Sì, proprio così! Il braccio destro era stato amputato all’altezza della spalla e ricucito al posto del sinistro, amputato a sua volta e spostato a destra. La stessa cosa era stata fatta agli arti inferiori. Amputati a metà femore e scambiati. Ma la cosa più raccapricciante era il viso: occhi e orecchie trapiantati nella sede opposta. Naso rovesciato. Sembrava uno di quei manichini utilizzati come controfigure nei film dopo una caduta da un palazzo di dieci piani. Aveva subìto una specie di imbalsamazione. Tutti gli orifizi erano stati chiusi con ovatta, compreso quello che il cadavere aveva sul petto. Se l’idea era stata quella di suscitare ribrezzo, si poteva dire perfettamente riuscita.
Nello studio, la polizia trovò un pc acceso con un file aperto contenente questa lettera.
«Ho deciso di spararmi un colpo al cuore. Dopo la mia morte, una persona con cui sono entrato in contatto (un anatomopatologo straniero, che quando leggerete questa lettera sarà già rientrato nel suo paese) provvederà a sistemare il mio corpo allo stesso modo in cui è stata sistemata la mia vita. Mi sono laureato in medicina. A ventotto anni ero specializzato in endocrinologia. Ho lavorato gratis in ospedale, continuando a fare le guardie notturne. A trentadue anni vinco un contratto di ricerca in Inghilterra. In poco tempo divento uno dei più apprezzati endocrinologi del mondo grazie anche alla scoperta di una terapia per la cura della malattia di Cushing. Mi ritrovo perciò ad essere uno di quei cervelli che debbono rientrare per il bene del paese. Torno in Italia. Mi offrono un posto all’università e, nel contempo, lavoro al policlinico universitario. Presento progetti di ricerca che tutti approvano ma, poiché non ci sono risorse, restano solo sulla carta, almeno fino al momento in cui un ricercatore di altra università italiana, che per una strana coincidenza è figlio del capo del mio dipartimento, partorisce due progetti, in tutto e per tutto identici ai miei, e ottiene il finanziamento. In ospedale il primario mi considera inferiore a qualsiasi collega e a molti infermieri. Mi dice che non c’è bisogno di cervelli, bensì di occhi e di braccia. Però la sera mi fa andare nel suo studio e mi chiede consulti su pazienti che interessano molto da vicino il suo portafoglio. Da due anni rifiutate il mio braccio destro, ma mi chiedete di collaborare col sinistro. Dite di non avere bisogno dei miei sensi e del mio cervello, ma, di nascosto, chiedete l’aiuto dei miei sensi e del mio cervello. Insomma, cosa volete da me?»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto