asocial

Creazione di un asocial network

Giorgio si è appena iscritto a Instagram. Ha pensato che almeno lì si sarebbe potuto fare gli affari suoi; non come su Facebook, dove i soliti noti mettono mi piace ogni due millesimi di secondo.
È passata soltanto un’ora da quando si è iscritto e lo stanno già seguendo venti vicini di casa, dieci colleghi di lavoro, trenta fancazzisti che vivono di gossip e sua nonna, che da quando è rimasta vedova passa il suo tempo a guardare tutorial di uncinetto.
Ne ha bloccati tanti in un lampo di ribellione. È deciso a non voler condividere niente con le persone che conosce, vuole starsene per i fatti suoi. Se ci vuol parlare, con quelli, può farlo fuori.
A distanza di due ore, cinquanta persone si sono già incazzate: «Mi hai bloccato, cosa ti ho fatto? Che problemi hai, ti droghi? Hai postato una balena azzurra, stai facendo quel gioco, vero?».
Alla terza ora, Giorgio è già sull’orlo di una crisi di nervi. Sui social non si può evitare nessuno senza esser notato. È peggio della vita reale, che magari con un paio di occhiali da sole puoi far finta di guardare in un’altra direzione o millantare una salvifica miopia. Ti arrivano le notifiche, e se fai finta di non esserci ti si nota di più.
Ormai si è rotto le palle anche di Instagram.
Si è disconnesso da tutto e tutti.
Ha preso uno zaino ed è partito per il Tibet.
Sta lavorando a un progetto segreto, ma io ne sono venuta a conoscenza da un mio vicino che è cugino di terzo grado di un monaco tibetano pettegolo (forse l’unico al mondo). In pratica, insieme ad alcuni monaci, sta lavorando alla creazione di un “A-social” che ti permette di stare connesso pur essendo sconnesso dagli altri. È un’invenzione rivoluzionaria anche
se probabilmente non sapremo mai dove siano finiti gli iscritti al nuovo dissocial.
Addio Giorgio. Ci mancherai. Sei un grande.
Mi piace  Commenta  Condividi se pensi che Giorgio sia meglio di Mark Zuckerberg.

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