Crivel e le canzoni del ventennio

La lussuria passa
come un vento turbinante,
che gli odor più perfidi
recan ognor con sé. (Crivel, Creola

Negli anni in cui a Liverpool i Beatles formavano la band che avrebbe cambiato il corso della musica rock, a Milano, dimenticato da tutti, moriva Crivel. Qualcuno forse lo ricorderà come tenore Orsini, tenore Bello, Italo Corsi, Berettini, F. Rossi, Rossi, E. Torres, D. Berri, Fernandino poiché amava esibirsi con nomi sempre diversi. Il regime fascista chiedeva e lui incideva. Era tra i più noti cantanti dell’epoca e, in ogni casa col grammofono, i suoi 78 giri non mancavano. Al suo attivo 30.000 incisioni tra canzoni, operette, brani d’opera e recitativi.

Come il vento turbinante passa anche il successo e la popolarità, dopo il 1945, gli voltò le spalle. Troppo difficile dimenticare i testi di certe sue incisioni: i dialoghi di Topolino va in Abissinia, tra i dischi più venduti del ventennio, sono devastanti: «Appena vedo il negus lo servo a dovere. Se è nero lo faccio diventare bianco dallo spavento», «ho promesso a mia mamma di mandarle una pelle di un moro per farci un paio di scarpe». Ma il vento, più capriccioso della bella Creola a cui Crivel implorava «straziami, ma di baci saziami» all’inizio del secondo millennio, riporta la sua voce nelle case degli italiani con un motivetto accattivante composto nel 1932 come colonna sonora di uno spot pubblicitario: «Se ciascun sorride lieto e la vita trova bella Se ragione misteriosa a gioir ciascuno appella Questa è ora senza pari, questa è l’ora del campari». Un ritornello allegro e spensierato più in sintonia con i «fiori voluttuosi come coca boliviana» che con Ti saluto, vado in Abissinia o Duce duce duce.

Amiamo ascoltare la meravigliosa musica americana degli anni trenta, Benny Goodman, Glenn Miller, ma non la musica leggera italiana del ventennio, forse perché la identifichiamo spesso solo con le canzoni fasciste. Ma molti brani nulla hanno a che fare con l’ideologia del regime, tante canzoni conservano la loro bellezza, nonostante il trascorrere del tempo: Vivere senza malinconia è del ’37, Dicitencello vuje del ’30, Parlami d’amore Mariù del ’32, Tango delle capinere del ’28, Ba ba baciami piccina del ’41; Ma l’amore no del ’43, Tanto pe’ cantà del ’32… Alcuni brani sono stati reinterpretati dopo il ’45 da famosi cantanti, ma sugli interpreti dell’epoca il velo d’oblio non si è mai sollevato, per alcuni forse a torto, per altri forse a ragione.
Eppure ascoltare un 78 giri, anche se digitalizzato, è più emozionante di quanto non si creda.

NB – Se clicchi su Creola, Vivere senza malinconia, Parlami d’amore Mariù, Tanto pe’ cantà puoi ascoltare i rispettivi brani.

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