CUI PRODEST?

Sul Corriere della Sera dell’8 giugno 2020, è stato pubblicato un illuminante, ancorché preoccupante, articolo di Federico Fubini, dal titolo (nella versione online) “Covid, i dati falsi dei paesi autoritari: il grafico che svela le bugie dei regimi sulla letalità del virus”.
Fubini parte con la sua disamina dal grafico che qui riproduciamo:
Una legenda in calce al grafico ci spiega i dati. Le crocette rappresentano ciascuna uno fra 101 Paesi dei cinque continenti situati nella tabella in base a due criteri: la letalità di COVID-19, ovvero la percentuale ufficiale di morti rispetto al numero dei contagi registrati (asse orizzontale); e il grado di libertà politica e civile in quel Paese, secondo il punteggio assegnato da Freedom House (1 = minima libertà; 100 = massima libertà) sull’asse verticale. Come si può vedere, non si trovano quasi crocette nella metà in basso a destra del grafico; in altri termini, non ci sono Paesi autoritari o semi-autoritari che riconoscano di avere un grado elevato di letalità da coronavirus. Al contrario, si nota un addensamento di Paesi in basso a destra: Paesi molto autoritari che sostengono di avere poche o pochissime vittime della pandemia.
Un altro grafico (che riportiamo qui sotto) dall’esplicito titolo “Quello che i Paesi autoritari non dicono” ribadisce in modo graficamente più semplice e chiaro, quanto sopra desunto: i Paesi più autoritari sono quelli che, a loro dire, vantano meno vittime del Coronavirus.

 

Quali sono dunque i veri numeri della pandemia, si chiede Fubini? Quanti fra i contagiati perdono la vita? Possibile che i sistemi sanitari dei Paesi autoritari funzionino meglio e salvino più malati di quanti ne sopravvivano in Europa o negli Stati Uniti? La risposta più logica è che le informazioni su Covid-19 fornite da decine di Paesi retti da sistemi autoritari non sono veritiere: i dati sono alterati, le notizie vere censurate.
Ma anche fra i Paesi giudicati più liberi si profilano due gruppi diversi. Nel primo si trovano fra gli altri la Germania, la Danimarca, la Finlandia o la Svizzera, dove sembra morire di coronavirus circa un contagiato ogni venti. Il secondo gruppo è quello dei Paesi che stanno ufficialmente soffrendo della letalità più alta al mondo: Belgio (16,2%), Francia (15,3%), Italia (14,4%), Gran Bretagna (14,2%), Olanda (12,7%), Svezia (10,8%). Nei primi tre Paesi vi sono due fattori in comune: 1) sono democrazie 2) si è permesso al virus di entrare nelle case di riposo per anziani.
La lettura di questi dati e la conclusione che Fubini – e chiunque abbia buon senso – ne trae (i Paesi autoritari mentono sui dati epidemiologici) non soddisfa comunque la domanda che immediatamente si affaccia: cui prodest?
Indubbiamente una pandemia ha come prima conseguenza un rallentamento dell’economia che, come purtroppo stiamo vedendo, può addirittura diventare una gravissima crisi economica globale. Negarla alterandone i dati potrebbe essere una mossa per rassicurare i mercati.
Anche nei paesi democratici la destra tende a sottovalutare il virus, e quella estrema arriva addirittura a negarne l’esistenza. Anche le destre populiste, che non hanno solo elettori ricchi (è una considerazione che Giovanna Nuvoletti scrive sulla sua bacheca). Tuttavia esse sono sostenute (in modo esplicito o implicito) da un’ampia fetta di imprenditoria e se è vero che il populismo acchiappa voti, è pur sempre l’appoggio economico di chi ha i “danè” a consentire costose campagne elettorali “permanenti” (è l’opinione più che condivisibile di Vincenzo Ciampi).
Quindi la censura sui dati e sui morti (pensiamo solo all’atteggiamento ‘negazionista’ di Bolsonaro, che nei giorni scorsi, sulla falsariga di Donald Trump, ha accusato l’Oms di approccio “ideologico”, minacciando di uscire dall’organizzazione delle Nazioni Unite, quando in poche settimane il Brasile è arrivato a diventare il terzo Paese più colpito al mondo, dopo Stati Uniti e Regno Unito) parte da una disperata opera di “contenimento” del danno economico? Certamente, ma a mio avviso non solo. La storia ci mostra i danni che il delirio di onnipotenza degli “uomini forti” hanno spesso causato ai Paesi che governavano. Che c’entra con l’epidemia, direte? C’entra nella misura in cui l’uomo forte non ammette di esserlo meno di un virus invisibile e potentissimo: negarne l’esistenza significa riaffermare la propria, mostrarne la sua presunta “sconfitta” significa affermare la propria vittoria. Anche a costo di negare l’evidenza. Anche a costo di contribuire al diffondersi di morte e sofferenza. La manipolazione della verità, del resto, porta sempre questi risultati (anche in tempi non pandemici).

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