Due case. Quattro genitori. Due bimbe, presto tre. Ognuno tira verso di sé. Genitori in ritardo, bimbe in tempo, io scelgo la via di mezzo. Ho solo due braccia e due piedi, una testa e un cuore che si allarga. Di qua la grande piange per la mamma, di là la piccola pesa sempre di più.
Le scale per salire al secondo piano, la spazza da buttare.
Sorrido a tutti. Nei momenti di esaurimento voglio un mondo senza rumori. “Facciamo il gioco del silenzio, amore?”, “Va bene, tata” dice la grande. Quanto la amo. A volte l’abbraccio così forte che le manca il respiro. Lei risponde con tenere carezze, mi sfiora appena. È deliziosa.
La piccola è un altro universo. Vuole vedere tutto, esplorare ogni possibilità. Osserva la polvere svolazzare mentre il sole illumina la camera, gattona verso un mobile, si abbassa al massimo e guarda sotto. Entrata nella fase affettuosa-scucita-d’amore, mi prende e mi sbava sulla guancia. Mi gusta. Afferra i miei capelli con le sue curiosissime mani e mi sposta.
La pappa da preparare, l’aspirapolvere, mettere in ordine, i bagni da pulire. Stirare!
Quando mi sento troppo stanca, abbraccio la prima che mi sta attorno. Se sono in due, affondo in loro. Lì ritrovo la mia infantile spensieratezza. I ricordi di giochi per strada, le lunghe risate con le amiche, una lezione di violoncello dietro la quale correre sempre. E poi mi ricordo che sono la tata. Apro gli occhi e controllo che la piccola sia stabile, che la grande non la spinga in modo brusco. Che si amino a vicenda.
Genitori in arrivo, bimbe da consegnare, giornata da raccontare, intense emozioni e crisi infantili in pochissimi minuti.
Il tempo del passaggio. Esco. Vado a casa e con il giro delle chiavi la stanchezza mi crolla addosso.
Sono madre. Con il contratto a tempo determinato.