Torna a Roma, in un Teatro Vascello strapieno soprattutto di giovani, il “Macbettu” di Alessandro Serra, trasposizione originalissima in terra di Barbagia del grande classico scespiriano. E torna da trionfatore, rivelandoci il vero senso della parola “globalizzazione”, il suo significato troppo spesso confuso, invischiato nella logica del mercato, ultima divinità residua in un mondo che torna a combattere (ma aveva mai smesso?) con carri armati e barricate. Difficile non pensare, in questi fosche settimane di guerra e sofferenza concreta, autentica, ai secoli trascorsi invano per il genere umano, pronto ora come ieri a dar via libera allo spargimento di sangue indiscriminato pur di affermare il più orrendo dei sentimenti umani: la brama di potere. Che è come tutti sanno, il tema centrale del “Macbeth”.
Viene solo da chiedersi, con profonda amarezza, se i dittatori del nostro tempo siano ancora capaci di provare, come il principe scozzese e il suo omologo sardo, il sentimento antico del rimorso, se e da quali ombre di Banquo siano popolati i loro sogni.
L’autore trasferisce lo scenario della più tetra tragedia scespiriana dalle brume scozzesi al desolato inverno barbaricino, inventando letteralmente una lettura sorprendente del testo, reso addirittura più “antico” dell’originale dai gesti e dalla lingua di otto primordiali uomini sardi, da tre irresistibili streghe, parenti strette di quelle immaginate da Joel Coen nella sua versione del dramma, e dalla prima dark lady del teatro, Lady Macbeth, instancabile tessitrice di morte da più di cinque secoli. Alta, solenne, vestita di nero, interpretata da un uomo come da tradizione elisabettiana.
Tra clangori e urla belluine, l’effetto è decisamente emozionante anche per merito degli attori, formidabili nel restituire, sulle tavole del palcoscenico, emozioni e orrori sciorinati con ben altri mezzi dalle mille versioni cinematografiche del classico maledetto per eccellenza. Da vedere
Macbettu – di Alessandro Serra – Teatro Vascello, fino al 19 marzo.