Ci vuole coraggio. Mentre l’umanità impazzisce nel delirio più sgangherato mai registrato dai tempi delle grandi dittature del novecento, un attore inglese si inventa una serie Tv che parla di vecchi in una casa di riposo, di sbalestrati rifiutati dalla cosiddetta “società civile”, di ritardati mentali. Ci vuole coraggio e un talento immenso, quello di un attore diventato sceneggiatore, regista e produttore ancora poco conosciuto dal pubblico italiano: Ricky Gervais.
Nato come stand up comedian, Gervais ha dimostrato, dal 2006 in poi, come il successo, se hai tempra e talento a profusione, prima o poi arriva e porta con sé riconoscimenti e premi internazionali.
Ma qui vogliamo parlare di una serie creata e andata in onda tra il 2013 e il 2014, proposta quest’anno da Netflix in Italia.
Si chiama “Derek”, ed è la più dolce, profonda, commovente, innovativa serie che abbia visto negli ultimi anni. Gervais ha riservato per sé la parte di Derek, tenero cinquantenne autoinseritosi nel calore umano della casa di riposo “Broad Hill”, mandata avanti con notevole sforzo dalla formidabile Hanna (Kerry Godliman), coadiuvata da un gruppo di improbabili avventori, tutti planati su Broad Hill a causa di vicende buffe e tristissime. Ossimoro che è, per l’appunto, il segreto sublime in grado di garantire continua linfa vitale a quest’opera in due stagioni. Le storie che si intrecciano nella casa di riposo sono commoventi, spesso struggenti. Ma basta una battuta di Derek o del suo sodale, il sessuomane e sboccatissimo Kevin (David Earl), per ricondurre la malinconia sui binari di un’irresistibile, a volte travolgente comicità.
Impossibile non innamorarsi di Derek, del suo candore, del suo altruismo genuino e del suo amore incondizionato per il prossimo e per gli animali. Per una volta Ricky Gervais lascia ai colleghi (un gruppo di attori fedelissimi, con i quali ha realizzato in seguito un altro capolavoro televisivo, “After Life”, nel 2019 e ancora in corso), il compito di liberare la vis corrosiva, satirica, tipica della sua intera produzione artistica. E loro danno il meglio di sé, divertendosi visibilmente.
Sullo sfondo, la presenza tranquilla ma incisiva degli ospiti anziani della casa ci ricorda costantemente la labilità dell’esistenza umana, vissuta con la serenità laica di una disillusione mai sopra le righe.
Infine, è bene ricordare che la serie è girata come un falso documentario, con i personaggi che ogni tanto si girano verso la macchina che li riprende per una battuta estemporanea, oppure vengono intervistati da un immaginario interlocutore muto, cui confessano pensieri nascosti, dubbi e incertezze. Un elemento vivace e innovativo in più, per una serie davvero da non perdere.