Dimenticanze

È brutto essere dimenticati. Una delle cose più brutte che possano capitarti, in vita. Certo, dopo, a cose fatte (capisci ammè), non ce ne fregherà niente.
Ma in vita…
Io ho vissuto questa esperienza, anche se in modo non così drammatico, intendiamoci.
Quella che appare in foto era la mia scuola media. Proprio davanti c’era un giardino rettangolare, non particolarmente curato, anzi piuttosto sciatto e disordinato: alberi in ordine sparso, ciuffi d’erba e tanta ghiaia. Un polverone fittissimo stazionava sull’intero giardino mentre varie partitelle di calcio minimo si svolgevano in contemporanea, animate da ragazzini scatenati. Pochi passaggi, molti dribbling, avrebbe detto quel cantautore bolognese degli anni novanta.
Si giocava ininterrottamente dalle tre del pomeriggio fino a quando, tra il lusco e il brusco, la palla cominciava a scomparire dalla nostra visuale.
Era il segnale della ritirata.
I genitori riapparivano uno ad uno, il gruppo infernale, vociante, si diradava, il silenzio tornava sul brecciolino e i pensieri erano tutti rivolti alla serata familiare: cena, carosello e tutti a letto. Massima concessione, la puntata dell’ Odissea televisiva.
Ma quella volta non andò così.
Si faceva sempre più scuro e a me non mi veniva a prendere nessuno.
Che fare? La preoccupazione cresceva, non ero ancora in grado di tornare a casa da solo ma qualcosa dovevo pure inventarmi, dopo aver aspettato invano un’ora buona.
Al dimenticato venne un’idea, l’unica praticabile. Entrò in un bar, assumendo l’ aria più triste e desolata possibile. Come si fa a negare a un piccoletto in calzoni corti una telefonata piena di delusione e risentimento?
La barista non solo fornì il gettone, ma assistette il dimenticato nelle operazioni necessarie a stabilire la decisiva comunicazione. Ecco, squilla. Sono salvo. Forse.
Quelli, a casa, cascarono dalle nuvole.
Non è venuto nessuno a prenderti??
No.
Ecco, arriviamo, dove sei, resta nel bar, non muoverti!
Arrivarono.
Niente di così grave, alla fine. Di pedofili o rapitori se ne parlava poco, la città era ancora protettiva coi dimenticati.
Però questa cosa qui io me la ricordo ancora, guarda un po’.

4 commenti su “Dimenticanze”

  1. Susanna Merloni

    Il piccolo dimenticato non si scorda la dimenticanza neanche da grande.
    Quanta tenerezza in questo bel racconto!

  2. Che dire..? Toccante, soprattutto perché ho avuto un esperienza praticamente identica che si è cristallizzata nella mia mante.

  3. Paolo Delicato

    Non ho provato questo senso di vuoto e di paura di essere stato dimenticato, ma so cosa accade perchè un mio nipote di cinque anni rimase un’ora, solo, all’entrata della sua Scuola dove la campanella aveva suonato, ma chi lo doveva andare a prendere si dimenticò di avere quel giorno l’incarico di farlo. Mia figlia aveva una conferenza, mio genero in tribunale, mia moglie in Azienda…nessuno si ricordò di “Ciccio” (soprannome familiare di un “torello” dolcissimo). Ricevetti una telefonata in Università (il mio numero faceva parte dei contatti familiari della scuola), ero alla fine della lezione e la mia assistente, comprendendo il problema, continuò per concludere l’argomento della mattinata. Trovai il mio dolcissimo nipotino su un divanetto, mogio mogio, mi guardò e spalancò gli occhi come se fossi stato un miraggio, mi corse incontro comunicando a chi lo stava badando che “nonno” era lì. Arrivato tra le mie braccia, piangendo, mi gridò che “ci eravamo dimenticati di lui” poi scendendo le scale dell’androne vide da lontano la mia auto e cominciò a sorridere dicendo “ora andiamo a casa vero?”. Si mise sui sedili posteriori e cominciò a raccontarmi tutto quello che aveva fatto in classe con la maestra e della paura di essere stato dimenticato. Lo tranquillizzai ed arrivò a casa felice come una Pasqua che nessuno si era dimenticato di lui. Fino alle medie, quando iniziò ad essere autonomo, tutte le mattine chiese chi lo fosse andato a prendere a scuola. Oggi è agli sgoccioli del liceo, gode di un Erasmus in Australia per sei mesi…un giorno sì ed uno no telefona ai nonni, i genitori invece lo chiamano loro alle ore giuste. Certamente non si sente abbandonato.

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