Che Dio potesse anche non essere un personaggio affabile lo si era ipotizzato sin dai tempi delle dieci piaghe d’Egitto. Jaco Van Dormael ce lo conferma con il suo straordinario Dio esiste e vive a Bruxelles. È quasi dai tempi di Toto le Héros che non provavo un tale miscuglio di divertimento, poesia e irriverenza alla vista di un Dio, Benoît Poelvoorde, in sciattissima vestaglia a scacchi, ciabatte sformate, mal rasato, vessatore della moglie vittimista e vagamente frikkettona, Yolande Moreau, e della propria bambina Ea, Pili Groyne. Il figlio primogenito, ovviamente, è morto.
Van Dormael con il suo coautore Thomas Gunzig firma una sceneggiatura scritta così bene che ti viene voglia di leggerla oltre che di ascoltarla. I due ci mettono di fronte a uno dei più reconditi terrori: ognuno di noi si è sicuramente chiesto se e come modificherebbe la propria vita se avesse modo di conoscere quanto tempo gli resta. È la complicata scommessa che si trova a subire un’ignara umanità a causa della vendetta su suo padre dell’ingegnosa undicenne.
Ea si trova a fuggire dalla sua casa ingrigita e asfissiante, attraverso una lavatrice misteriosa, richiamando atmosfere alla Jeunet e Caro. La sua ricerca è volta a moltiplicare il numero degli apostoli da dodici a diciotto, inserendoli anche graficamente nell’affresco de L’ultima cena e far sì che venga riscritto, con la collusione di un clochard-savant, l’intero nuovo testamento. Il volume diventerà infatti, a missione compiuta, Le Tout Nouveau Testament, non a caso il titolo originale del film.
Dopo avere scoperto l’abile smanettamento del suo pc con conseguente catastrofe, Dio si lancia alla ricerca di Ea. Lei nel frattempo riesce a reclutare un pornografo deluso dall’amore, una donna che si innamora di un gorilla (una Caterine Deneuve in stato di grazia al servizio di un evidente omaggio a Oshima, uno tra i tanti raffinatissimi del film), un bambino malato causa eccesso di cure materne non necessarie e dall’incerta identità sessuale, un serial killer inconsciamente in cerca d’amore, una magnifica ragazza solitaria dal braccio amputato, una doppiatrice di porno.
Così la bambina che legge la musica dentro ogni persona, dunque percepisce le anime senza giudicarle anzi favorendone il dispiegarsi, rovescia con la sua improbabile squadra le sorti di un’umanità smarrita, che forse Dio nemmeno lo cerca più. Ci dimostra che il destino degli incontri, l’inaspettato ribaltarsi dei ruoli, qualche paradossale intervento della Grazia, con le sue stilettate di amore che trafiggono come ghiaccioli, e fanno trapelare luce dove solo tenebre regnavano, ne sanno veramente più del diavolo: anzi, pardon, di Dio stesso. E, in virtù di un esilarante colpo di scena che segna il riscatto della moglie sottomessa, l’Apocalisse è ancora una volta rimandata, con grande sollievo di noi tutti.