DIOMEDA AL GENERE UMANO PER VIA TELEPATICA

Sono una Albatros, anche se per voi le femmine, e non solo della mia specie, non esistono. Le donne poi le considerate solo per violentarle o ucciderle. Chiamatemi Diomeda.
Vivevo a Nord col mio compagno Luxen e avevamo due figli. Un giorno di burrasca una forte ventata lo scagliò insieme a Thers e Vantis contro la scogliera. Morirono tutti. Accudii da sola i piccoli e adottai anche Bernac e Frenton, rimasti orfani. Quando divennero indipendenti me ne andai.
Volevo sfuggire alla corte dei maschi. Ma non erano assillanti; solo che dopo Luxen non volevo altri compagni perché era unico, insostituibile. Mi bastavo e il volo è un’enorme consolazione. Dà tutte le emozioni possibili. Non potete capirmi. E’ da troppo tempo che vi tarpate le ali da soli.
Andai a Sud e mi stabilii su un alto scoglio, nel Mediterraneo. Volevo stare al caldo e lì c’è tanto sole. Il gelo che sentivo dentro invece era solo vostro. Vedevo barconi semi affondati zeppi di donne, uomini e soprattutto bambini che condannate a morte ricacciandoli indietro e voltandovi dall’altra parte. Come se il mare e la terra avessero mura; come se i pesci e gli animali, quindi voi uomini e noi uccelli, dovessimo chiedere il permesso per nuotare, volare, migrare. Vivere.
Credevo di non poterli aiutare. Sono una Albatros, non un aereo. Ma sono grande, forte e sono Natura che difende la vita. Un giorno un barcone naufragò. Il mare era pieno di bambini piccoli con i loro zainetti rossi per potersi distinguere tra le onde. E gli uomini della motovedetta li vedevano bene e sparavano in aria per spaventarli. Una ragazzina che sapeva nuotare cercò di salire. Uno la vide e la colpì col calcio del fucile. Lei scomparve tra le onde e non riemerse più. Poi se ne andarono lasciando che tutti quei bimbi affogassero.
A un paio di miglia, dall’altra parte, arrivava un peschereccio. Non c’era tempo da perdere. Calai in picchiata e col mio becco robusto agganciai le bretelle dello zaino d’un bimbetto e lo strappai alle onde. Piangeva disperato. Poi capì e sorrise contento di poter volare. Il capitano del peschereccio scrutava il mare col mirino del suo fucile. Mi vide arrivare e sparò. Non mi colpì e riuscii a depositare il piccolo sul ponte. Gli fui addosso. Sparò e sparò ancora mancandomi. Buttai in acqua lui insieme al suo maledetto fucile.
Salvai una decina di bambini. I capitani spesso non sono marinai ma i marinai sono parte del mare. Infatti avevano cura di quei bambini con un amore finalmente ritrovato. Avevano lanciato un salvagente al capitano che si disperava. Chissà, forse si era pentito e aveva riscoperto con loro nostra Madre Natura. Ero stremata. Non potevo fare di più e ero triste e avvilita perché tanti bambini erano annegati. Pensando alla follia degli uomini, vinta dalla stanchezza, mi addormentai.
Sono tornata a Nord. Non sono io che vi posso salvare o redimere, sono solo una Albatros. Il posto che ora ho scelto è veramente inospitale ma ha un grande pregio: non esistono umani nel raggio di centinaia di chilometri. Come tutti gli animali sono telepatica e so che il web e i tg di tutto il mondo mandano in continuazione le immagini dei miei salvataggi. Qualcuno del peschereccio deve averli filmati. Ma io non mi sento un’eroina o una santa mandata dal Cielo.
Sono solo una Albatros, una femmina.

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